Gare Gas – Chiarimenti AEEGSI su mancato rispetto Procedura

Non possiamo esimerci a commentare brevemente il chiarimento fornito ieri sera (27 gennaio 2016) dall’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas ed il Sistema Idrico in materia di gare gas (che trovate qui) .

Innanzitutto, tratteggiamo brevissimamente il quadro della situazione.

Le gare gas, dopo anni di rimpalli, dubbi, incertezze, polemiche e chi più ne ha più ne metta, lo scorso dicembre sono finalmente partite. Più o meno……!

Difatti, dopo la pubblicazione del bando dell’ATEM Varese 2 (più una provocazione politica che un vero e proprio bando di gara) molte altre stazioni appaltanti hanno rotto gli indugi e si sono decise a pubblicare il proprio bando.

Whatever It Takes, come dicono gli AmeriKani.

In altre parole,queste stazioni appaltati, prese dalla folle paura di incorrere in sanzioni e vedersi pesantemente decurtati gli introiti derivanti dai canoni dovuti dall’aggiudicatario per la gestione del servizio, hanno fatto saltare tutte le regole procedurali previste dal DM 226/11 e s.m.i. e dal d.lgs.164/00 e s.m.i., tra cui, per quanto rileva in questa sede:

  • Obbligo di trasmissione dei bandi & tutta la documentazione relativa all’Autorità, affinché quest’ultima possa esprimere il proprio parere entro 30 giorni (art. 9 comma 2).
  • Obbligo di trasmissione delle valutazioni di dettaglio effettuate per stabilire il valore di rimborso nel caso in cui questo fosse maggiore di oltre il 10% rispetto al valore del capitale investito calcolato in base alla regolazione tariffaria (il mitico Delta VIR-RAB, anche se non ho mai condiviso questa terminologia, piuttosto fuorviante) (art. 15 comma 5 D.lgs 164/00 e s.m.i.).

Aspetti non di poco conto, direi, il cui mancato rispetto sin da subito ha fatto inarcare più di un sopracciglio dalle parti degli operatori che, in molti, casi, si sono domandati come ciò fosse possibile e quali conseguenze avrebbe generato.

Ieri, come detto, ci ha pensato l’Autorità a fare chiarezza su questo punto, sganciando una bombetta niente male.

L’Autorità ha infatti chiarito, inequivocabilmente, che per quei bandi di gara per i quali non è stato seguito l’iter di verificare e approvazione/formulazione osservazioni appena ricordato, l’eventuale nuovo entrante non si vedrà riconosciuto in tariffa il VIR che ha pagato (come valore d’indennizzo) al gestore uscente, così come previsto nella regolazione tariffaria asimmetrica prevista dalla delibera 367/2014/R/gas, contestata da alcuni operatori ma recentemente oggetto di una sentenza favorevole da parte del TAR Lombardia.

Al contrario, in questi casi la tariffa sarà calcolata a partire da un capitale parametrico calcolato dall’Autorità sulla base di densità dell’utenza, altitudine del comune e numero totale degli utenti. Come ben sapranno gli addetti ai lavori, questo capitale non è alto che quello che sarà utilizzato per la rivalutazione delle c.d. “RAB nane” (RAB disallineate dalla media).

Ergo, in questi casi il nuovo entrante paga il VIR (diciamo 100) e rischia di avere una tariffa calcolata su un capitale inferiore (diciamo 80).

Evidentemente, non è una situazione sostenibile da un punto di vista economico-finaziario.

Un altro punto molto interessante del chiarimento fornito dall’Autorità riguarda gli investimenti previsti dai piani di sviluppo d’ambito.

Qualora la stazione appaltante non abbia inviato per verifica il bando e relativa documentazione (tra cui i piani di sviluppo) all’Autorità, quest’ultima chiarisce che non c’è alcuna certezza che gli investimenti previsti in tali piani saranno riconosciuti in tariffa. L’autorità, infatti, “si riserva di valutare, ai fini dei riconoscimenti tariffari degli investimenti effettuati in attuazione del piano di sviluppo definito in sede di affidamento del servizio, la sussistenza di condizioni di sviluppo ragionevoli e di adeguate analisi costi-benefici, ai fini dei riconoscimenti tariffari degli investimenti realizzati a seguito dell’aggiudicazione della gara d’ambito“.

In altre parole, in questi casi il vincitore della gara potrebbe dover sostenere degli investimenti che però, siccome ritenuti inefficienti (ex post), non saranno riconosciuti in tariffa, con grave danno a livello di ricavi ammessi.

Ma l’Autorità non si è fermata qui.

Lo stesso ragionamento, infatti, è sempre valido, anche nel caso in cui il bando sia stato inviato all’Autorità: se questa riscontra un livello ingiustificato degli investimenti richiesti dalla Stazione Appaltante (e magari lo segnala pure alla alla stazione appaltante stessa, che perà decide di non modificare le proprie indicazioni) l‘Autorità si ritiene liberissima di non riconosce in tariffa tali investimenti (meglio: di riconoscerli solo nel limite che ritiene efficiente).

Alla luce di quanto detto, allora, è evidente che nessun operatore sano di mente può pensare di valutare seriamente i bandi che presentano le caratteristiche appena ricordate, dato che per questi non è oggettivamente possibile stimare seriamente quelli che saranno i ricavi tariffari ottenibili. Ed senza di questi costruire un piano economico finanziario è francamente impossibile.

Quali conseguenze, quindi?

Innanzitutto, si deve considerare che – come da più parti confermato – i bandi pubblicati senza il parere dell’Autorità posto comunque essere considerati “validi” e questa infatti interviene esclusivamente sul tema, di propria competenza, della regolazione tariffaria e non sul bando o relativi allegati.

Quindi, le gare già avviate e che presentano le caratteristiche ricordate potrebbero certamente andare avanti, ma le enormi incertezze che le caratterizzano con grande probabilità terranno alla larga operatori (magari non particolarmente radicati in quell’area) potenzialmente interessati. Naturalmente, se si riterrà opportuno, e molto probabilmente lo si riterrà, i bandi fallati potranno essere ritirati e aggiustati.

Per il futuro, invece, il chiarimento in analisi ha tutte le potenzialità per rallentate il processo di avvio delle gare e, parallelamente, intasare gli uffici dell’Autorità.

A quest’ultimo proposito, si ricorda che è previsto comunque un termine preciso per concludere le verifiche di competenza del Regolatore e, dato che le risorse (tempo/personale) sono scarse per definizione, la grande mole di documentazione da valutare in poco tempo potrebbe influire sull’efficacia delle verifiche stesse, nonostante la grande e ampiamente riconosciuta professionalità dei funzionari del nostro regolatore.

A questo punto, non resta che concedere una nuova proroga, dare l’ultima messa a punto alla macchina delle gare, e poi partire a razzo.

DDL Concorrenza, Superamento Tutela e Aste: un Mix Esplosivo

Nel mondo dell’energia italiana, e più precisamente nella regione del mercato retail, siamo oramai giunti di fronte al fatidico Rubicone e oramai è solo questione di tempo prima di sentire il fatidico “alea iacta est.

E per fortuna, aggiungerei! L’ora di fare questo passo era giunta già da un po’, ma per varie e variegate ragioni si è sempre traccheggiato. Ma il momento fatidico infine è giunto.

E però, tra i centurioni, ancora si annidano dubbi e incertezze. Non tanto sul se, ma sul come.

Ecco, noi nelle prossime righe ci concentreremo proprio su come fare a guadare l’insidioso fiume che, nel settore energetico, separa i regimi di tutela e il mercato (completamente) libero.

Sappiamo bene che il mezzo “tecnico” che il cantiere parlamentare sta approntando per questa impresa è il celeberrimo DDL concorrenza. Ma, come detto, tra le maestranze serpeggia ancora qualche dubbio sulla forma definitiva che questo mezzo dovrà assumere. Quello principale è legato al meccanismo da utilizzare, all’atto pratico, per superare le attuali tutele di prezzo sulle forniture di energia elettrica e gas.

Come noto, il mezzo in costruzione è, per così dire, a 2 stadi (tipo razzo spaziale!). Il primo,  oramai quasi completato, serve a creare le precondizioni per il guado, mentre il secondo, i cui progetti sono ancora trop secret, permette di passare fisicamente al di là del fiume.

Vediamo i dettagli – noto – di questi 2 stadi.

Il primo stadio prevede innanzitutto la messa a disposizione di ulteriori strumenti al cliente così da permettergli di individuare facilmente l’offerta che più fa al caso suo: sarà predisposto infatti un portale che raccoglierà le informazioni relative alle varie offerte degli operatori (con particolare enfasi su quelle per utenti domestici o per piccole imprese connesse in bt) e le metterà a disposizione di chi sarà interessato (le informazioni saranno in formato open data). Ciò incrementerà anche la qualità delle comparazioni tra offerte dai molti siti che offrono questo servizio, con grande beneficio del cliente finale.

A ciò si uniscono altri importanti provvedimenti a favore del cliente, come:

  • Obbligo per i venditori di predisporre almeno 2 offerte, una a prezzo fisso e una a prezzo variabile, per gli utenti domestici e non che dovranno rispettare precise condizioni di contenuto, confrontabilità ed omogeneità che verranno fissate dell’AEEGSI
  • Predisposizione, sempre da parte dell’AEEGSI, di linee guida per disciplinare, in termini di contenuto, confrontabilità e pubblicità, le offerte a gruppi di acquisto.

Il piano è chiaro: si rafforzano le “regole di ingaggio” e di “disingaggio” tra le parti e si lascia che queste si confrontino in modo da trovare di volta in volta il punto di equilibrio reciprocamente soddisfacente in termini di prezzo/livello di servizio aggiuntivo.

In una parola: mercato.

Dato però che sempre di “prima volta” si tratta, vengono individuati dei prerequisiti, per una volta decisamente oggettivi, che devono essere rispettati affinché il guado del fatal fiume possa avere luce verde.  Se non ci sono, si aspetta ancora un po’ (6 mesi) e poi si riprova (sperando comunque che non si arrivi ad una sorta di giorno della marmotta in salsa energetica).

I prerequisiti, la cui sussistenza sarà verificata dall’AEEGSI tramite relazione al ministero dello sviluppo economico, sono

  • Operatività del portale informativo di cui abbiamo parlato in precedenza;
  • R rispetto (si, ma in che misura…..? Nel 100% dei casi… Nell’85%? Si vedrà) delle 3 settimane per lo switching (cambio di fornitore);
  • Rispetto delle tempistiche (stessa considerazione di prima) di fatturazione (conguaglio  definitivo a  seguito  di  un  eventuale  cambiamento  del  fornitore  dopo  non  oltre  sei settimane);
  • Piena funzionalità del sistema informativo integrato (strumento centralizzato contenete in modo univoco le informazioni sulle utenze italiane e che a tendere sarà l’unico referente per i distributori e venditori per lo scambio di informazioni);
  • Completamento del brand unbundling, in modo che il cliente non possa confondersi tra il soggetto che gli vende l’elettricità/gas e quello che fisicamente glieli porta in casa.

Verificate tutte queste condizioni, entra in azione il secondo stadio e si tenta il guado.

Ma purtroppo ancora non è chiaro come.

Il ddl concorrenza, infatti, dopo una prima parte molto dinamica e tutto sommato precisa, cade nel più classico dei cliché italiani: il rinvio al solito decreto ministeriale con annessa fissazione di paletti, per quest’ultimo, che dicono tutto e niente. Un classico esempio di rinvio dei problemi per dribblare conflitti che bloccherebbero l’iter dell’intera legge. Ma torniamo a noi.

Il decreto ministeriale appena ricordato dovrà garantire che il famoso guado “[…] avvenga secondo meccanismi che favoriscono la concorrenza e la pluralità di fornitori e di offerte nel libero mercato“.  Tradotto dal burocrate: poi vediamo.

Questa vaghezza lascia aperta la porta alla possibilità più ardite. Come ad esempio fare dei bei pacchetti di clienti e metterli all’asta.

Geniale, nevvero?

In fin dei conti,  sembra proprio la cosa più giusta e logica da fare, no?! Dopo aver messo a disposizione ai clienti tutte le informazioni che servono per scegliere (portale informativo) , rafforzato le tutele a suo favore (brand unbundling, obbligo offerte, linee guida gruppi di acquisto) e constatato che il settore è pronto (tempistiche switching e fatturazione) che si fa? Una bella asta di clienti, che evidentemente sono talmente ignoranti e incapaci che proprio non riescono a capire qual è il proprio interesse e a trovare l’offerta che glielo garantisca ad un prezzo ritenuto adeguato. La cosa strana in tutto ciò è che questi stessi soggetti riescono a cavarsela egregiamente in mille mila altri settori, dalle telecomunicazioni ai beni primari…. ma non per l’energia elettrica e il gas. D’altra parte si sa, sono settore complessi….!

Ma sia….portiamo avanti il ragionamento delle aste e vediamo dove ci porta.

Beh, per bandire la nostra bella asta la prima cosa che ci serve è un bel set di criteri tecnico/economici e procedurali che stabiliscano univocamente almeno:

  • Chi fa cosa;
  • Qual è l’oggetto dell’offerta
  • Chi può partecipare all’asta;
  • Quali sono i criteri per valutare l’offerta;
  • Esistenza e valutazione dell’indennizzo per la parte cedente;
  • Cerimoniale burocratico/procedurale da seguire.

La cosa, ovviamente, non è impossibile da imbandire, ma necessita tempo….. Mooooolto tempo. Per le gare gas il tempo oramai si misura in lustri, per l’idroelettico magari passeremo direttamente agli eoni. Quindi se vogliamo agire prima della prossima glaciazione, già abbiamo un problema non da ridere.

Come proposto da qualcuno, il problema tempo è in qualche modo risolvibile: dei criteri e della gestione del procedimento se ne può occupare direttamente l’Autorità per l’energia elettrica il gas e il sistema idrico.  Senza interrogarsi troppo se possa essere l’autorità a fissare i paletti o se sia meglio che questi siano definiti a livello ministeriale, ad ogni modo dopo un ragionevole periodo di consultazione si avrebbe la delibera, le eventuali determine e si potrebbe partire.

Vediamo un po’ più da vicino, allora, queste aste.

Innanzitutto, direi che è pacifico che il criterio di aggiudicazione sia lo sconto maggiore sulla base d’asta per una fornitura “base” standardizzata.

Più problematico stabilire chi può partecipare: tutti i venditori? Solo quelli attivi al 100% nel mercato libero? Quelli che ai tempi hanno costituito una società separata per l’erogazione della maggior tutela (nel caso EE)? Evidentemente, optare per una soluzione o per un’altra non è indifferente e, in ogni caso, la scelta andrebbe in contro a fortissime contestazioni da parte di una fetta di venditori. Sul punto, poi, ci vorrebbe anche un concerto con la AGCM, con conseguente allungamento dei tempi.

Altro problema di peso è stabilire qual è l’oggetto del contendere: un pacchetto di clienti o un pacchetto di clienti e dipendenti?

In entrambi i casi i problemi sono molti e molto legati tra loro: nel primo caso le offerte dei partecipanti all’asta potrebbero essere più aggressive, ma si pone il problema di cosa fare dei dipendenti dell’ex esercente la tutela; nel secondo caso, quanti venditori parteciperanno alla gara e che sconti potrebbero offrire già sapendo che oltre ad prendere clienti non eccessivamente remunerativi, per di più a sconto, dovranno integrare il nuovo personale e sopportarne le inefficienze conseguenti (nelle gare gas, per ovviare a ciò, gli OPEX sono aggiornati con X-Factor = 0 per i primi 2 aggiornamenti post gara).

In entrambi i casi ci sarebbe poi la questione sociale: mentre nel primo caso, come accennato, bisogna capire che fine fanno gli addetti alla maggior tutela in esubero a seguito della perdita di uno o più pacchetti di clienti da parte dell’ex esercente, nel secondo bisogna capire quali garanzie avranno i dipendenti trasferiti insieme ai clienti (e qui dubito fortemente che possa bastare una delibera dell’AEEGSI….Con inevitabile dilatazione dei tempi): i loro nuovi contratti risentiranno delle regole del Jobs Act? Saranno costretti a trasferirsi altrove armi e bagagli perché la società che li ha “vinti”  non ha sedi dove vivono? D’altronde, loro non si occupano di un manufatto fisico come una diga o una rete gas… Il cliente lo puoi pure aiutare da timbuktu, mica c’è bisogno di essere fisicamente nello stesso luogo!

C’è poi il tema del valore d’indennizzo, che in questo caso dovrebbe compensare della perdita di conoscenza del cliente e della capacità di soddisfarne le esigenze. Diciamo che si dovrebbe riconoscere un ammontare a titolo di “avviamento” ceduto insieme al pacchetto clienti/dipendenti. Ma con che criteri deve essere valorizzato?

Potremmo andare avanti a lungo, ma sarebbe oltremodo pesante. Limitiamoci quindi ad indicare il problema cruciale, esistenziale, della questione:

E’ corretto che per superare la tutela siano previste aste dove un cliente può essere vinto offrendo sostanzialmente una nuova tutela?

Alla fine, infatti, le offerte dovranno offrire sconti su una fornitura standardizzata. Quindi, rispetto ad oggi, dov’è la differenza sostanziale (a parte il prezzo, che è certamente importante ma non può essere l’unica cosa su cui la concorrenza deve puntare)?

Alla nostra domanda filosofica si deve necessariamente rispondere negativamente. Sarebbe una operazione gattopardesca.

Difatti, come si può pensare di creare un mercato concorrenziale se addirittura le aste  – potenzialmente – porteranno ad uno sconto sul costo di una fornitura senza vincoli temporali  (non si trova traccia nelle varie proposte che contemplano questo meccanismo)? Perché, io cliente, dovrei scomodarmi a capire come gira il fumo nel mercato retail EE/Gas se posso restare fermo e continuare ad essere tutelato? Fino ad oggi questo sistema non ha funzionato, perché sperare che in futuro possa andare diversamente?

Cosa fare, quindi?

Innanzitutto, porre in essere tutte le misure ricordate in precedenza (portale informativo, linee guida, brand unbundling ecc), ovvero dare al cliente la canna da pesca, e poi vigilare strettamente sulle dinamiche concorrenziali, stroncando sul nascere eventuali pratiche commerciali scorrette e predisponendo un adegua sistema di tutela (non di prezzo!) del cliente. In questo habitat favorevole il cliente, con la sua bella canna da pesca, potrà imparare a pescare grazie anche all’aiuto di buoni maestri, come i vari siti di comparazione esistenti/soggetti aggregatori della domanda ecc. in modo che in poco tempo sia in grado di acchiappare una bella preda che soddisfi i suoi bisogni. E si sa che quello che si è ottenuto grazie alle proprie mani è centomila volte più gustoso di quello che ti cade dal cielo.

Fine……no, aspetta un attimo… E i dipendenti? Che fine fanno i dipendenti?

Beh, il processo di apprendimento dell’antica arte della pesca di offerte EE/Gas non è rapidissimo. Di conseguenza, l’esercente la tutela accorto ha tutto il tempo per pianificare una progressiva riconversione (ed eventuale riduzione) dell’organico addetto al settore della tutela, spostando man mano forze esperte sul nuovo e vastissimo fronte del mercato libero.

La Riforma del Wacc EP.1 – Cos’è il Wacc e a che serve il Wacc?

nuovaenergiablog.wordpress.com

Iniziamo questa disamina del Wacc con due o tre elementi di base per far capire l’importanza di questo elemento nell’ambito della regolazione tariffaria di servizi infrastrutturali.

Cos’è il Wacc?

Prima di tutto, vediamo per cosa sta questa sigla esotica:

Wacc = Weighted Average Cost of Capital = Costo medio ponderato del capitale

Ora tutto è più chiaro, no? No. Andiamo avanti, allora!

Il Wacc è il metodo più utilizzato per stimare il costo del capitale sostenuto da un soggetto per la propria attività (o per una specifica attività). Si dice “ponderato” perché i 2 elementi di cui è composto, capitale proprio ed debito, sono “pesati” in base alle rispettive quantità  utilizzate nel mix di capitale necessario a finanziare l’attività. Di conseguenza, varia al variare delle proporzioni degli ingredienti che lo compongono.

Questo valore è assai utile per valutare gli investimenti, dato che il costo associato al capitale che si deve puntare su un  certo progetto è uno degli elementi fondamentali che, alla fine…

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La Riforma del Wacc EP.1 – Cos’è e a che serve il Wacc?

Iniziamo questa disamina del Wacc con due o tre elementi di base per far capire l’importanza di questo elemento nell’ambito della regolazione tariffaria di servizi infrastrutturali.

Cos’è il Wacc?

Prima di tutto, vediamo per cosa sta questa sigla esotica:

Wacc = Weighted Average Cost of Capital = Costo medio ponderato del capitale

Ora tutto è più chiaro, no? No. Andiamo avanti, allora!

Il Wacc è il metodo più utilizzato per stimare il costo del capitale sostenuto da un soggetto per la propria attività (o per una specifica attività). Si dice “ponderato” perché i 2 elementi di cui è composto, capitale proprio ed debito, sono “pesati” in base alle rispettive quantità  utilizzate nel mix di capitale necessario a finanziare l’attività. Di conseguenza, varia al variare delle proporzioni degli ingredienti che lo compongono.

Questo valore è assai utile per valutare gli investimenti, dato che il costo associato al capitale che si deve puntare su un  certo progetto è uno degli elementi fondamentali che, alla fine, determinerà la redditività di quel progetto e, quindi, la decisione finale di procedere o meno con l’investimento.

Tutto molto bello, tutto molto teorico…ma in pratica?

Beh, ricordate quando eravate rEgazzini© e dovevate andare a mangiare la pizza con gli amici? Ricordate i calcoli complicatissimi che facevate per capire come era meglio pagare? Ricordate quanto eravate lì a scervellarvi se era meglio rompere il porcellino-salvadanaio e usare tutto il contenuto duramente accumulato a seguito di terribili privazioni (tipo gelati/pizzette/figurine o, massimo della rinuncia, una partita a Street Fighter 2!),  se utilizzarne solo una parte, chiedendo un contributo alla mamma/papà o alla nonna/nonno ecc o se finanziare i bagordi completamente a debito (magari contraendolo con il fratello maggiore).

Ecco, in quel momento stavate stimando il costo medio del capitale da impiegare nel progetto “pizza con gli amici”!

Il costo del capitale calcolato sotto varie ipotesi di mix tra equity (il porcellino) e debito (parenti più o meno stretti) veniva poi posto in relazione con l’effettiva possibilità di accedere alle varie forme di capitale, con il rischio ad esse associato, con la strategicità del progetto e con i possibili ritorni di quest’ultimo, così da prendere la decisione finale di investimento.

In parole povere, se fosse venuta anche la ragazzina della III F di cui eri follemente innamorato, pur di avere una change di far colpo potevi anche accettare un costo del capitale altissimo, determinato da un mix esplosivo di capitale proprio (costato lacrime e sangue) e debito (fornito da quello strozzino di tuo fratello). Se, al contrario, la ragazzina era impegnata con il nuovo fidanzatino (arrrrghhh!!!!!), ma in compenso era confermata la presenza del tuo nemico giurato della III G, saresti andato esclusivamente nel caso in cui il costo del capitale fosse stato pari allo zero assoluto (quindi tutto a prestito a fondo perduto, con la nonna in versione Cassa per il Mezzogiorno!).

Qual è la funzione del Wacc e perché, per i settori infrastrutturali dell’energia elettrica e del gas, ce n’è bisogno?

Finora tutto chiaro. Proviamo ora a fare un paso adelante e decliniamo quanto appena detto nei settori infrastrutturali dell’energia elettrica e del gas che tanto ci interessano.

Innanzitutto, bisogna rendersi conto che esistono mercati in cui tecnicamente non ci può proprio essere concorrenza. Meglio, esistono casi per cui  non è possibile la contemporanea esistenza, in uno stesso mercato di riferimento, di vari soggetti  che si scornano tra loro per accalappiarsi gli stessi clienti offrendo loro il medesimo servizio/prodotto, tra l’altro decisamente indifferenziato.

Tra questi, sono compresi i settori infrastrutturali dell’energia elettrica e del gas e, più in generale, i servizi a rete ad alta intensità di capitale e, aggiungerei, a grande impatto sul tessuto urbano/ambientale di riferimento.

Il perché ha a che fare con l’intima natura di tali servizi/attività e non con chissà quale oscura trama volta a turlupinare il povero cittadino inerme e tartassato. Questi, infatti, sono dei cosiddetti monopoli naturali.

Facciamo un esempio chiarificatore con una bella reductio ad absurdum.

Provate per un attimo ad immaginarvi che casino verrebbe fuori se da domani decine di distributori gas o di energia elettrica, ad esempio, volessero entrare in un certo mercato di riferimento (tipo citta di Milano) e, per farlo, ognuno pretendesse di posare la propria rete sotto le strade cittadine e i misuratori (e i vari allacciamenti) in ogni casa/condominio/negozio/ecc.

Sarebbe il caos completo! E soprattutto, si avrebbe uno spreco pazzesco di risorse (tempo, suolo, materie prime ecc.).

Ma ammettiamo, per assurdo, di voler tralasciare questo “piccolo” particolare. Dovremo per forza riconoscere che il gioco non vale la candela. I ricavi attesi, infatti, non permetterebbero in alcun modo di coprire gli ingenti costi necessari per fornire il servizio, di carattere prevalentemente fisso e la cui copertura richiede il raggiungimento di una massa critica di utenti. Infatti, il numero degli utenti potenziali è fisso (i soli milanesi) e in caso di aspra competizione sarebbe molto difficile per il singolo operatore raggiungere la massa critica di cui sopra.

Di conseguenza, anche se ce ne fosse la possibilità normativa, nessun imprenditore dotato di un minimo di raziocinio porterebbe avanti un’iniziativa simile e, quantunque esistessero dei così straordinari esempi di irriazionalità umana, alla fine non potrà che sopravvivere il più forte, cioè quello che riesce a prendere più utenti possibili e raggiungere la massa critica. Questo soggetto andrà poi a consolidare il settore, diventando l’unico fornitore del servizio per una certa area geografica.

E la razionalità sarebbe infine ripristinata!

Per questo genere di servizi, allora, la fase concorrenziale si ha (o meglio, si dovrebbe avere!) nella fase di accesso al mercato e, di conseguenza, si parla di concorrenza PER il mercato (perché, poi, quando il mercato è tuo, te lo tieni per un certo periodo….e a certe regole, come vedremo!).

Ma se non c’è mercato, ovvero se c’è solo domanda ed uno solo controlla l’offerta, come si fa a stabile il prezzo del sevizio senza che l’esercente se ne approfitti a mani basse?

A questo fine è stata sviluppa la regolazione tariffaria e della qualità del servizio: gestisci una determinata attività che è un monopolio naturale? Benissimo, nessun problema! Fallo pure, magari dopo aver vinto una bella procedura competitiva aperta (i.e. competizione PER il mercato), ma lo fai (almeno) alle condizioni tecniche ed economiche che ti dico io e per io intendo un soggetto terzo, indipendente, che deve bilanciare gli interessi degli operatori e degli utenti.

La regolazione tariffaria, infatti, ha il compito di stabilire quanto il cliente deve pagare per il servizio stesso, in modo da evitare che il monopolista se ne approfitti e, allo stesso tempo, evitando che il prezzo del servizio sia artificiosamente (o politicamente) basso rispetto ai costi ed alle necessità di sviluppo dello stesso.

Ora, tutte le tipologie di investimenti generano 3 grandi categorie di costi che dovranno trovare copertura attraverso i ricavi derivanti dalla vendita dei beni/servizi cui gli investimenti sono legati:

  • Costi operativi (stipendi dei lavoratori, servizi, ecc.)
  • Ammortamenti (il costo annuo dei mezzi utilizzati per fornire il bene/servizio, come ad esempio macchinari industriali, computer, mezzi di trasporto ecc).
  • Il costo del capitale che la società deve sopportare per un certo progetto

In un settore “normale”, le forze del mercato fanno sì che non ci sia bisogno che qualcuno stabilisca dei vincoli relativi alla copertura di queste 3 categorie: se si è bravi ed il bene/servizio piace, si copre tutto e si guadagna; al contrario, si perde.

Ma nel caso di un monopolio naturale, ci deve essere necessariamente un soggetto terzo (l’Autorità indipendente, appunto) che stabilisca le regole del gioco e fissi dei limiti alla copertura dei 3 elementi appena ricordati tramite la tariffa che l’utente dovrà pagare per usufruire del servizio, pena un arricchimento indebito dell’operatore.

Allora, la regolazione tariffaria – tra le altre cose – dovrà stabilire quella che è l’equa (parola chiave) remunerazione concessa agli investimenti effettuati nei propri settori di competenza che dovrà essere incorporata nelle tariffe pagate dagli utenti.

Se fosse troppo bassa, gli investimenti languirebbero con effetti negativi sugli impianti (che invecchiano senza essere sostituiti) e sul servizio (un impianto vecchio ha performace da vecchio); se troppo alta gli operatori sarebbero spinti a fare le “picche d’angelo” sugli impianti (in gergo tecnico, golden plating) senza però che i benefici per i clienti compensino il costo sopportato (se mi arriva il gas in casa tramite tubi in oro zecchino o in acciaio non è che la mia pasta asciutta cambi molto di sapore!).

Questa remunerazione, spendiamo giusto un attimo per farlo notare, in un mondo perfetto rappresenterebbe l’unico margine di guadagno (se vogliamo essere pignoli, EBIT) ammesso per il soggetto regolato (difatti sugli altri 2 elementi in linea teorica non dovrebbe esserci margine).

In assenza di remunerazione del capitale, allora, il margine tenderebbe pericolosamente a 0 (zero), molto più probabilmente a sottozero, e la capacità dell’operatore regolato di attrarre investitori e investimenti sarebbe altrettanto pari allo 0 assoluto (quale banca o fondo di investimento accetterebbe un rendimento pari a 0?), con immaginabili effetti per il paese in termini di investimenti e di qualità del servizio. Non a caso uno degli elementi a cui gli analisti delle banche d’affari sono più sensibili è proprio il tasso di remunerazione previsto dalla regolazione.

E’ il caso di notare che non è assolutamente corretto spostare il riconoscimento di questa remunerazione del capitale dalla tariffa specifica per il servizo alla fiscalità generale. I motivi sono vari e variegati, ma il principale riguarda l’equità: perché un cittadino che non usufruisce di un certo servizio (non essenziale come lo può essere un ospedale) deve sopportarne i costi? Sarebbe giusto che chi utilizza solo energia elettrica per le proprie necessità debba sostenere anche costi per l’infrastruttura gas? Direi di no!

E’ un po’, se vogliamo, come il canone Rai: c’è un “servizio pubblico” (o presunto tale) certamente non essenziale, specie oggigiorno, che viene pagato da tutti quelli che hanno una TV nella propria residenza. Non fa niente che sono anni che non guardi la Rai e che non sai che fartene dei pacchi, di Magalli o del festival di Sanremo. Devi pagare e basta e non puoi in nessun modo “disdire” l’abbonamento, magari chiedendo l’oscuramento dei canali Rai (e badate bene, i mezzi tecnici ci sono da anni!).  Vi sembra equo? A guardare i dati sull’evasione di quella che è considerata la tassa più odiata d’italia, direi proprio di no! E allora perché mai si dovrebbe estendere questo metodo ad altri servizi? Molto meglio e molto più equo il principio “chi ne usufruisce paga”!

Quindi, stabilito che per i settori che si configurano come monopoli naturali ci deve essere un soggetto terzo indipendente che stabilisca le regole ed i limiti del gioco, tra cui l’equa remunerazione degli investimenti, e che questa costituisce una parte della tariffa che gli utenti pagano per usufruire del servizio, non resta che stabilire (i) come calcolarla e (ii) quali sono gli impatti per gli utenti causati da una sua variazione.

Ma di questo parleremo nei prossimi articoli.

 

Quanto costa l’efficienza energetica al consumatore?

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente articolo in cui Riccardo Gallottini di energyaffairs fa il punto sul costo del meccanismo dei TEE per i clienti finali.  Buona lettura!

Quanto costa l’efficienza energetica al consumatore?

di Riccardo Gallottini

Quasi quotidianamente, sfogliando la rassegna stampa o girando per internet, leggiamo che fare efficienza energetica significa essenzialmente migliorare un sistema, riducendo l’apporto di energia in ingresso, mantenendo lo stesso “prodotto” in uscita, sia esso un bene o una forma di energia.  Gli interventi di efficientamento energetico, come noto, comportano una serie di benefici al privato cittadino o all’impresa, quali la riduzione dei consumi (e quindi abbattimento dei costi) nonché l’ammodernamento dei sistemi produttivi/tecnologici. Tali interventi hanno però un costo di investimento che, in particolare per alcune tipologie, rende difficile la sostenibilità del progetto senza un incentivo di tipo economico o fiscale. Lo strumento più utilizzato in questi anni per sostenere gli interventi di efficienza energetica è indubbiamente il meccanismo dei certificati bianchi (da non confondere con i certificati verdi a sostegno della fonti rinnovabili).

Ma quanto costano i certificati bianchi in bolletta al consumatore italiano medio di energia? E quanto costano rispetto ad altri strumenti di incentivazione che il consumatore paga tra gli oneri di sistema presenti in bolletta? Queste sono le domande a cui proveremo a dare una risposta al fine di valutare se i certificati bianchi oltre che sostenere gli investimenti in efficienza energetica, sono anche “sostenibili” per il sistema, e quindi per il consumatore.

Funzionamento del meccanismo dei certificati bianchi 
Il meccanismo dei certificati bianchi o titoli di efficienza energetica (di seguito anche TEE)  è entrato in vigore nel gennaio 2005. Un TEE rappresenta un’unità di consumo di energia primaria espresso in Tep (tonnellata di petrolio equivalente) riguardante interventi di risparmio di energia elettrica, gas naturale e altri combustibili per autotrazione. Il meccanismo è basato sulla determinazione di obblighi di risparmio di energia primaria definiti via via negli anni da una serie di decreti ministeriali e posti in capo alle imprese di distribuzione di energia elettrica e gas. In funzione della quantità di energia distribuita, ad ogni impresa viene quindi assegnata una quota di obiettivo di risparmio nazionale quantificabile in un numero di TEE da annullare al fine di soddisfare l’obbligo. Gli obiettivi di risparmio di energia primaria assegnati riguardano ad oggi il periodo 2005 – 2016. Gli obiettivi per gli anni 2017 – 2020 sono tutt’ora in corso di definizione da parte del Ministero. Va detto che il ruolo dei TEE dovrebbe rimanere centrale nella strategica globale di risparmio energetico che si è data il paese. Il decreto legislativo 102/14 che ha recepito la direttiva UE sull’efficienza energetica ha infatti assegnato al meccanismo dei TEE l’obbligo di contribuire con almeno il 60% dell’obiettivo di risparmio energetico totale cumulato al 2020.

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I TEE hanno chiaramente un prezzo che è basato su uno schema di mercato di incrocio tra domanda e offerta. Il valore economico dell’incentivo non è infatti determinato ex – ante ma dipende dall’andamento dei titoli sul mercato. La domanda di TEE è formata dalle imprese di distribuzione (ad oggi 13 distributori elettrici e 48 distributori gas) in quanto soggetti obbligati all’adempimento normativo di risparmio energetico. Viceversa l’offerta è data dai TEE derivanti da risparmi energetici ottenuti tramite progetti realizzati sia dai soggetti obbligati che da altri soggetti non obbligati (società di servizi energetici, distributori minori ecc). La contrattazione dei TEE può avvenire tra le parti interessate (tramite contratti bilaterali) o all’interno di una specifica borsa gestita dal Gestore dei Mercati Energetici (GME). Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE), il quale possiede il 100% del GME, è  invece l’ente che autorizza l’emissione dei titoli a fronte della presentazione dei progetti e si occupa del controllo del risparmio energetico ottenuto. Le imprese di distribuzione, essendo soggetti obbligati dalla normativa al soddisfacimento dell’obbligo di risparmio di energia primaria, hanno diritto a ricevere ogni anno un contributo tariffario di copertura per ogni TEE acquistato sul mercato. Il contributo tariffario è erogato a consuntivo da parte dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il servizio idrico (di seguito AEEGSI) una volta che il GSE ha verificato che i soggetti obbligati hanno adempiuto ai propri obblighi annuali di risparmio energetico.

Il contributo tariffario erogato alle imprese di distribuzione a fronte del sostenimento dei costi relativi all’acquisto dei TEE rappresenta di conseguenza l’effettivo esborso che il sistema deve sostenere per il funzionamento del meccanismo dei certificati bianchi. Ad oggi infatti la famiglia tipo paga in bolletta elettrica i certificati bianchi sulla base dei KWH consumati, tramite la componente UC7 destinata alla promozione dell’efficienza energetica della voce “spesa per oneri di sistema”. In maniera analoga, nella bolletta gas è presente la componente RE nella voce “spesa per oneri di sistema”. Il gettito riscosso da tali componenti alimenta quindi dei conti i cui fondi sono utilizzati per erogare i contributi tariffari alle imprese di distribuzione.

Impatti in bolletta
A questo punto, una volta spiegato in maniera molto sintetica il meccanismo dei TEE e i vari soggetti coinvolti, possiamo andare a rispondere ai quesiti che ci siamo posti inizialmente. Va detto che per un’analisi completa di sostenibilità del meccanismo, andrebbero calcolati anche i benefici (e c’è ne sono) apportati al sistema. Il risparmio totale di energia primaria conseguito con il sistema dei certificati bianchi comporta sicuramente una serie di impatti positivi in termini di riduzione della bolletta energetica nazionale la quale, come si sa, è fortemente dipendente dalle importazioni dall’estero. Da tali benefici andrebbero però decurtati gli effetti della crisi che si sono riverberati in questi anni che hanno di fatto anch’essi causato un calo dei consumi energetici. Vanno poi aggiunte alcune esternalità positive quali l’ammodernamento del tessuto immobiliare/produttivo nonché il rilancio degli investimenti. In questa sede  tuttavia ci limitiamo a dare uno sguardo ai costi rimandando in un secondo momento una completa analisi costi benefici.

Con l’aiuto quindi dei dati che l’AEEGSI pubblica relativi all’aggiornamento delle condizioni economiche di riferimento per le famiglie e i piccoli consumatori in tutela sia di elettricità che di gas, abbiamo provato a stimare gli impatti economici in bolletta elettrica e gas causati dall’introduzione delle componenti a sostegno della promozione dell’efficienza energetica. Si è cercato inoltre di isolare per quanto possibile gli oneri derivanti dal meccanismo dei certificati bianchi che è appunto l’oggetto dell’articolo.

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Fonte: elaborazioni su dati AEEGSI relativi al primo aggiornamento trimestrale di ogni anno per cliente domestico tipo (per elettricità 3 KW di potenza e 2.700 KWH di consumo e per il gas 1400 Smc di consumo).
Note: Dalle componenti UC7 e RE relative all’efficienza energetica è stata decurtata la quota parte di gettito che va ad alimentare il conto per lo sviluppo tecnologico e industriale di cui all’articolo 32 del decreto legislativo n. 28/11, il fondo a sostegno del teleriscaldamento e una stima degli oneri cumulati del conto energia termico pubblicati dal GSE.

In occasione dell’ultimo aggiornamento tariffario disponibile per il primo trimestre dell’anno 2016 sono aumentati in maniera esponenziale gli oneri derivanti dal funzionamento del meccanismo dei TEE. La famiglia tipo italiana quest’anno pagherà  poco meno di 5€/anno in bolletta elettrica e poco meno di 11€/anno in bolletta gas, quindi rispettivamente 4€/anno e 7€/anno in più rispetto all’aggiornamento delle condizioni economiche di fornitura effettuate ad inizio anno 2015.

Abbiamo quindi risposto alla prima domanda che ci eravamo posti all’inizio, ovvero quanto costa alle famiglie italiane la promozione dell’efficienza energetica tramite i certificati bianchi. Risulta ora interessante andare a verificare tali costi in confronto a quelli legati alla promozione delle fonti di energia rinnovabile e assimilate che ad oggi il consumatore paga nella componente A3 della bolletta elettrica tra gli oneri di sistema che come si sa, raggiungerà probabilmente nell’anno 2016 i 15 miliardi di euro di costo complessivo.

Analizzando i dati disponibili, gli incentivi alle rinnovabili e assimilate in bolletta elettrica pesano circa 7 volte di più rispetto agli oneri per i TEE ad oggi pagati, a differenze delle rinnovabili, dai consumatori sia di energia elettrica che di gas.

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Ancora oggi gli incentivi all’efficienza energetica ed in particolare il funzionamento del meccanismo dei TEE, presentano una spesa per il consumatore nettamente inferiore rispetto ad altri incentivi connessi alla promozione delle fonti rinnovabili la cui esplosione negli anni non stupisce i ben informati.

Tuttavia, nell’anno in corso, l’aumento degli oneri da efficienza energetica è stato sensibilmente elevato e di oltre il 200% rispetto all’anno precedente.

Ma quali potrebbero essere le cause di questo aumento? Salvo eventuali politiche redistributive degli oneri tra diverse tipologie di clientela (come spiegato in nota, la simulazione riguarda soltanto la famiglia tipo e non altre utenze alto consumanti  e industriali), la crescita degli oneri è essenzialmente legata all’aumento degli obiettivi nazionali in capo alle imprese di distribuzione e via via crescenti nel corso negli anni. Vi sono poi effetti temporali legati all’annullamento dell’obbligo in quanto i distributori, secondo quanto previsto dai decreti ministeriali, hanno la possibilità di soddisfare il 100% dell’obiettivo di un determinato anno entro il biennio successivo senza incorrere in sanzioni.​

Non dovrebbe poi aver avuto grosso impatto il valore del contributo tariffario riconosciuto alle imprese di distribuzione come anche evidenziato dall’Autorità nel rapporto “Stato e prospettive del meccanismo dei titoli di efficienza energetica” dello scorso giugno.

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Fonte: elaborazioni su dati AEEGSI.
Note: per quanto riguarda l’anno d’obbligo 2015 il contributo tariffario riconosciuto ai distributori è ancora preventivo in attesa di quello definitivo che sarà pubblicato intorno a Giugno 2016 secondo le modalità stabilite dalla deliberazione 13/2014/R/Efr

Conclusioni
Alla luce di quanto esposto in precedenza si può quindi affermare che il futuro impatto in bolletta degli oneri legati alla promozione dell’efficienza energetica (ed in particolare dei TEE) dipenderà quasi interamente dall’entità degli obblighi di risparmio di energia primaria posti in capo alle imprese di distribuzione e che dovrebbero essere pubblicati entro la fine dell’anno da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. Dal punto di vista dei prezzi infatti il meccanismo di calcolo del contributo tariffario introdotto nel 2013 dall’Autorità sembra garantire un buon compromesso tra l’esigenza delle imprese di distribuzione di vedersi riconosciuti i costi sostenuti per l’obbligo di acquisto di TEE e un equo mantenimento di  un riconoscimento tariffario su forchette di valori accettabili dal punto di vista del consumatore.

In conclusione si può comunque dire che l’efficienza energetica è una buona leva di sviluppo industriale che responsabilizza il privato investitore e in ultimo sensibilizza il consumatore all’uso corretto dell’energia. A tendere quindi l’obiettivo dovrebbe essere una diminuzione degli oneri per il sistema grazie all’innovazione tecnologica e ad un migliore accesso alle fonti di finanziamento. Solo così sarà possibile “fare” veramente efficienza energetica.

Ad oggi però, e ancora per qualche tempo, ci sarà bisogno di un sistema (ancorché di mercato) come quello dei certificati bianchi. In questa fase l’auspicio è che tutte le istituzioni coinvolte, per quanto di loro competenza, monitorino il funzionamento del meccanismo dei TEE al fine di evitare situazioni spiacevoli già vissute in passato. L’ elevata incentivazione di alcune fonti rinnovabili ha portato a costi scaricati completamente sui cittadini, spesso ignari che alle loro spalle c’era qualcuno che si arricchiva sventolando la bandiera dell’ambiente e dell’energia pulita.

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il seguente articolo in cui Riccardo Gallottini di energyaffairs fa il punto sul costo del meccanismo dei TEE per i clienti finali.  Buona lettura!

Quanto costa l’efficienza energetica al consumatore?

di Riccardo Gallottini

Quasi quotidianamente, sfogliando la rassegna stampa o girando per internet, leggiamo che fare efficienza energetica significa essenzialmente migliorare un sistema, riducendo l’apporto di energia in ingresso, mantenendo lo stesso “prodotto” in uscita, sia esso un bene o una forma di energia.  Gli interventi di efficientamento energetico, come noto, comportano una serie di benefici al privato cittadino o all’impresa, quali la riduzione dei consumi (e quindi abbattimento dei costi) nonché l’ammodernamento dei sistemi produttivi/tecnologici. Tali interventi hanno però un costo di investimento che, in particolare per alcune tipologie, rende difficile la sostenibilità del progetto senza un incentivo di tipo economico o fiscale. Lo strumento più utilizzato in questi anni per sostenere gli interventi di efficienza energetica è indubbiamente il meccanismo dei certificati bianchi (da non confondere con i certificati verdi a sostegno della fonti rinnovabili).

Ma quanto costano i certificati bianchi in bolletta al consumatore italiano medio di energia? E quanto costano rispetto ad altri strumenti di incentivazione che il consumatore paga tra gli oneri di sistema presenti in bolletta? Queste sono le domande a cui proveremo a dare una risposta al fine di valutare se i certificati bianchi oltre che sostenere gli investimenti in efficienza energetica, sono anche “sostenibili” per il sistema, e quindi per il consumatore.

Funzionamento del meccanismo dei certificati bianchi 
Il meccanismo dei certificati bianchi o titoli di efficienza energetica (di seguito anche TEE)  è entrato in vigore nel gennaio 2005. Un TEE rappresenta un’unità di consumo di energia primaria espresso in Tep (tonnellata di petrolio equivalente) riguardante interventi di risparmio di energia elettrica, gas naturale e altri combustibili per autotrazione. Il meccanismo è basato sulla determinazione di obblighi di risparmio di energia primaria definiti via via negli anni da una serie di decreti ministeriali e posti in capo alle imprese di distribuzione di energia elettrica e gas. In funzione della quantità di energia distribuita, ad ogni impresa viene quindi assegnata una quota di obiettivo di risparmio nazionale quantificabile in un numero di TEE da annullare al fine di soddisfare l’obbligo. Gli obiettivi di risparmio di energia primaria assegnati riguardano ad oggi il periodo 2005 – 2016. Gli obiettivi per gli anni 2017 – 2020 sono tutt’ora in corso di definizione da parte del Ministero. Va detto che il ruolo dei TEE dovrebbe rimanere centrale nella strategica globale di risparmio energetico che si è data il paese. Il decreto legislativo 102/14 che ha recepito la direttiva UE sull’efficienza energetica ha infatti assegnato al meccanismo dei TEE l’obbligo di contribuire con almeno il 60% dell’obiettivo di risparmio energetico totale cumulato al 2020.

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I TEE hanno chiaramente un prezzo che è basato su uno schema di mercato di incrocio tra domanda e offerta. Il valore economico dell’incentivo non è infatti determinato ex – ante ma dipende dall’andamento dei titoli sul mercato. La domanda di TEE è formata dalle imprese di distribuzione (ad oggi 13 distributori elettrici e 48 distributori gas) in quanto soggetti obbligati all’adempimento normativo di risparmio energetico. Viceversa l’offerta è data dai TEE derivanti da risparmi energetici ottenuti tramite progetti realizzati sia dai soggetti obbligati che da altri soggetti non obbligati (società di servizi energetici, distributori minori ecc). La contrattazione dei TEE può avvenire tra le parti interessate (tramite contratti bilaterali) o all’interno di una specifica borsa gestita dal Gestore dei Mercati Energetici (GME). Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE), il quale possiede il 100% del GME, è  invece l’ente che autorizza l’emissione dei titoli a fronte della presentazione dei progetti e si occupa del controllo del risparmio energetico ottenuto. Le imprese di distribuzione, essendo soggetti obbligati dalla normativa al soddisfacimento dell’obbligo di risparmio di energia primaria, hanno diritto a ricevere ogni anno un contributo tariffario di copertura per ogni TEE acquistato sul mercato. Il contributo tariffario è erogato a consuntivo da parte dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il servizio idrico (di seguito AEEGSI) una volta che il GSE ha verificato che i soggetti obbligati hanno adempiuto ai propri obblighi annuali di risparmio energetico.

Il contributo tariffario erogato alle imprese di distribuzione a fronte del sostenimento dei costi relativi all’acquisto dei TEE rappresenta di conseguenza l’effettivo esborso che il sistema deve sostenere per il funzionamento del meccanismo dei certificati bianchi. Ad oggi infatti la famiglia tipo paga in bolletta elettrica i certificati bianchi sulla base dei KWH consumati, tramite la componente UC7 destinata alla promozione dell’efficienza energetica della voce “spesa per oneri di sistema”. In maniera analoga, nella bolletta gas è presente la componente RE nella voce “spesa per oneri di sistema”. Il gettito riscosso da tali componenti alimenta quindi dei conti i cui fondi sono utilizzati per erogare i contributi tariffari alle imprese di distribuzione.

Impatti in bolletta
A questo punto, una volta spiegato in maniera molto sintetica il meccanismo dei TEE e i vari soggetti coinvolti, possiamo andare a rispondere ai quesiti che ci siamo posti inizialmente. Va detto che per un’analisi completa di sostenibilità del meccanismo, andrebbero calcolati anche i benefici (e c’è ne sono) apportati al sistema. Il risparmio totale di energia primaria conseguito con il sistema dei certificati bianchi comporta sicuramente una serie di impatti positivi in termini di riduzione della bolletta energetica nazionale la quale, come si sa, è fortemente dipendente dalle importazioni dall’estero. Da tali benefici andrebbero però decurtati gli effetti della crisi che si sono riverberati in questi anni che hanno di fatto anch’essi causato un calo dei consumi energetici. Vanno poi aggiunte alcune esternalità positive quali l’ammodernamento del tessuto immobiliare/produttivo nonché il rilancio degli investimenti. In questa sede  tuttavia ci limitiamo a dare uno sguardo ai costi rimandando in un secondo momento una completa analisi costi benefici.

Con l’aiuto quindi dei dati che l’AEEGSI pubblica relativi all’aggiornamento delle condizioni economiche di riferimento per le famiglie e i piccoli consumatori in tutela sia di elettricità che di gas, abbiamo provato a stimare gli impatti economici in bolletta elettrica e gas causati dall’introduzione delle componenti a sostegno della promozione dell’efficienza energetica. Si è cercato inoltre di isolare per quanto possibile gli oneri derivanti dal meccanismo dei certificati bianchi che è appunto l’oggetto dell’articolo.

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Fonte: elaborazioni su dati AEEGSI relativi al primo aggiornamento trimestrale di ogni anno per cliente domestico tipo (per elettricità 3 KW di potenza e 2.700 KWH di consumo e per il gas 1400 Smc di consumo).
Note: Dalle componenti UC7 e RE relative all’efficienza energetica è stata decurtata la quota parte di gettito che va ad alimentare il conto per lo sviluppo tecnologico e industriale di cui all’articolo 32 del decreto legislativo n. 28/11, il fondo a sostegno del teleriscaldamento e una stima degli oneri cumulati del conto energia termico pubblicati dal GSE.

In occasione dell’ultimo aggiornamento tariffario disponibile per il primo trimestre dell’anno 2016 sono aumentati in maniera esponenziale gli oneri derivanti dal funzionamento del meccanismo dei TEE. La famiglia tipo italiana quest’anno pagherà  poco meno di 5€/anno in bolletta elettrica e poco meno di 11€/anno in bolletta gas, quindi rispettivamente 4€/anno e 7€/anno in più rispetto all’aggiornamento delle condizioni economiche di fornitura effettuate ad inizio anno 2015.

Abbiamo quindi risposto alla prima domanda che ci eravamo posti all’inizio, ovvero quanto costa alle famiglie italiane la promozione dell’efficienza energetica tramite i certificati bianchi. Risulta ora interessante andare a verificare tali costi in confronto a quelli legati alla promozione delle fonti di energia rinnovabile e assimilate che ad oggi il consumatore paga nella componente A3 della bolletta elettrica tra gli oneri di sistema che come si sa, raggiungerà probabilmente nell’anno 2016 i 15 miliardi di euro di costo complessivo.

Analizzando i dati disponibili, gli incentivi alle rinnovabili e assimilate in bolletta elettrica pesano circa 7 volte di più rispetto agli oneri per i TEE ad oggi pagati, a differenze delle rinnovabili, dai consumatori sia di energia elettrica che di gas.

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Ancora oggi gli incentivi all’efficienza energetica ed in particolare il funzionamento del meccanismo dei TEE, presentano una spesa per il consumatore nettamente inferiore rispetto ad altri incentivi connessi alla promozione delle fonti rinnovabili la cui esplosione negli anni non stupisce i ben informati.

Tuttavia, nell’anno in corso, l’aumento degli oneri da efficienza energetica è stato sensibilmente elevato e di oltre il 200% rispetto all’anno precedente. 

Ma quali potrebbero essere le cause di questo aumento? Salvo eventuali politiche redistributive degli oneri tra diverse tipologie di clientela (come spiegato in nota, la simulazione riguarda soltanto la famiglia tipo e non altre utenze alto consumanti  e industriali), la crescita degli oneri è essenzialmente legata all’aumento degli obiettivi nazionali in capo alle imprese di distribuzione e via via crescenti nel corso negli anni. Vi sono poi effetti temporali legati all’annullamento dell’obbligo in quanto i distributori, secondo quanto previsto dai decreti ministeriali, hanno la possibilità di soddisfare il 100% dell’obiettivo di un determinato anno entro il biennio successivo senza incorrere in sanzioni.​

Non dovrebbe poi aver avuto grosso impatto il valore del contributo tariffario riconosciuto alle imprese di distribuzione come anche evidenziato dall’Autorità nel rapporto “Stato e prospettive del meccanismo dei titoli di efficienza energetica” dello scorso giugno.

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Fonte: elaborazioni su dati AEEGSI.
Note: per quanto riguarda l’anno d’obbligo 2015 il contributo tariffario riconosciuto ai distributori è ancora preventivo in attesa di quello definitivo che sarà pubblicato intorno a Giugno 2016 secondo le modalità stabilite dalla deliberazione 13/2014/R/Efr

Conclusioni
Alla luce di quanto esposto in precedenza si può quindi affermare che il futuro impatto in bolletta degli oneri legati alla promozione dell’efficienza energetica (ed in particolare dei TEE) dipenderà quasi interamente dall’entità degli obblighi di risparmio di energia primaria posti in capo alle imprese di distribuzione e che dovrebbero essere pubblicati entro la fine dell’anno da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. Dal punto di vista dei prezzi infatti il meccanismo di calcolo del contributo tariffario introdotto nel 2013 dall’Autorità sembra garantire un buon compromesso tra l’esigenza delle imprese di distribuzione di vedersi riconosciuti i costi sostenuti per l’obbligo di acquisto di TEE e un equo mantenimento di  un riconoscimento tariffario su forchette di valori accettabili dal punto di vista del consumatore.

In conclusione si può comunque dire che l’efficienza energetica è una buona leva di sviluppo industriale che responsabilizza il privato investitore e in ultimo sensibilizza il consumatore all’uso corretto dell’energia. A tendere quindi l’obiettivo dovrebbe essere una diminuzione degli oneri per il sistema grazie all’innovazione tecnologica e ad un migliore accesso alle fonti di finanziamento. Solo così sarà possibile “fare” veramente efficienza energetica.

Ad oggi però, e ancora per qualche tempo, ci sarà bisogno di un sistema (ancorché di mercato) come quello dei certificati bianchi. In questa fase l’auspicio è che tutte le istituzioni coinvolte, per quanto di loro competenza, monitorino il funzionamento del meccanismo dei TEE al fine di evitare situazioni spiacevoli già vissute in passato. L’ elevata incentivazione di alcune fonti rinnovabili ha portato a costi scaricati completamente sui cittadini, spesso ignari che alle loro spalle c’era qualcuno che si arricchiva sventolando la bandiera dell’ambiente e dell’energia pulita.

Sanzioni AEEGSI ai raggi X

Riceviamo e volentieri pubblichiamo a cura del sito energyaffairs.it una interessante analisi delle sanzioni comminate nel 2015 dall’AEEGSI.

Il 2015 si è chiuso ed è tempo di monitoraggi anche per noi. Quest’anno inauguriamo una nuova rubrica annuale di osservazione dell’attività sanzionatoria ad opera dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il servizio idrico (di seguito AEEGSI) sui mercati energetici. L’esercizio è interessante perché permette di verificare il potere sanzionatorio da parte di AEEGSI e di valutare l’operato delle aziende nei singoli settori di riferimento. Ricordiamo che ad oggi AEEGSI regola, monitora (ed eventualmente sanziona) le imprese operanti nei settori gas, elettricità, servizio idrico, teleriscaldamento e a breve probabilmente anche nel ciclo integrato dei rifiuti.

Il 2015 registra un aumento delle sanzioni irrogate rispetto al 2014 che sono passate da n°22 a n°28. Tale aumento è principalmente dovuto alle n°9 sanzioni irrogate per mancata comunicazione di documenti necessari alla vigilanza sul divieto di traslazione della Robin Hood Tax. Va rilevato che l’illegittimità dell’imposta stabilita dalla Corte Costituzionale ad inizio 2015 non ha effetto retroattivo e quindi per gli anni precedenti AEEGSI ha continuato a monitorare il rispetto del divieto di traslazione ai consumatori da parte degli esercenti. Dall’altro lato (ed è quello che in definitiva conta) nel 2015 sono diminuiti gli importi cumulati delle sanzioni irrogate rispetto al 2014 che passano da circa 11 milioni a  4,8 milioni di euro. Il 2014 è stato comunque un anno particolare perché AEEGSI ha concluso i procedimenti sanzionatori per alcune società di vendita che non hanno rispettato la regolazione in tema di bilanciamento gas (i famosi “furbetti” del gas per intenderci).

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Fonte: elaborazioni su dati AEEGSI

Ad ogni modo, furbetti del gas a parte, si conferma anche nel 2015 il settore gas come quello più sanzionato da parte dell’AEEGSI. Tra i temi oggetto di sanzione da parte dell’Autorità è rilevante innanzitutto la sanzione comminata ad Edison Stoccaggio per violazione della disciplina unbundling e irregolarità in sede di presentazione delle tariffe di riferimento. Sono state poi sanzionate due imprese di trasporto minori (Retragas e Energie) per violazione della disciplina della misura presso punti di riconsegna della rete regionale di trasporto. Per quanto riguarda il settore elettrico si conferma più virtuoso del cugino gas. Negli ultimi due anni l’Autorità  ha sanzionato tale settore per la maggior parte per via di imprese di distribuzione minori che non hanno proceduto all’installazione dei contatori elettrici.

Immagine 2

 

Fonte: elaborazioni su dati AEEGSI

La Riforma del Wacc – Introduzione

La riforma dei criteri per la determinazione e l’aggiornamento del tasso di remunerazione del capitale investito (per gli amici, Wacc) per i servizi infrastrutturali dei settori elettrico e gas è stato uno dei grossi temi che hanno tenuto banco nel corso del 2015 e che più influenzeranno i settori coinvolti nei prossimi anni.

Dato che, oramai, la delibera 583/2015/R/com è stata approvata ed ampiamente digerita dagli operatori e dai mercati, è possibile analizzarne, nella maniera più distaccata possibile, il contenuto ed il significato considerando il contesto in cui tale delibera è maturata e delle finalità a cui essa è preordinata.

Per far questo, mi sono immaginato un percorso un po’ più articolato del solito che faccia luce, in primis, su

  1. Cos’è e perché  questo Wacc è così importante (QUI L’ARTICOLO)
  2. Aspetti salienti della riforma e le eventuali lacune
  3. Stima di massima degli impatti sugli utenti finali

I 3 punti indicati, per evitare attacchi di narcolessia, saranno trattati in altrettanti articoli.

Andiamo quindi a cominciare…….Buona Lettura!

 

 

Monitoraggio Attività AEEGSI – ANNO 2015

Ebbene, alla fine ci siamo.

Anche il 2015 è (oramai da qualche giorno) definitivamente archiviato.

Quindi, prima di dedicarci anema e’ core’ al giovin 2016, prendiamoci qualche minuto per fare un sunto complessivo dell’attività dell’Autorità per l’Energia Elettrica, il Gas ed il Sistema Idrico nel corso dell’anno appena trascorso.

Il sunto offerto in questa sede, però, non può che essere di tipo quantitativo dato che una analisi dettagliata di tutti gli atti rilevanti approvati nel 2015 (e sono veramente tanti….!) sarebbe praticamente impossibile. Di conseguenza, a valle di questa analisi quantitativa ci si focalizzerà su alcuni temi particolarmente interessanti che, come meritano, verranno adeguatamente approfonditi.

Diciamolo subito, il 2015 è stato un anno molto denso per l’Autorità ed i suoi uffici e, di riflesso, per i soggetti regolati: gli atti approvati dal Collegio sono stati in tutto ben 668, contro i 654 dell’anno precedente, con un aumento di 14 atti, ovvero del 2,14%.

Ciò fa del 2015 l’anno record (so far…) per numero di atti approvati sin dal lontano dicembre 1996 (ovvero da quanto sono state approvate le prime delibere). D’altra parte, parlando in generale, anche a livello di qualità il 2015 verrà a lungo ricordato, dati i numerosi atti di grandissimo rilievo approvati e che, anche se in alcuni casi si tratta ancora di fasi preliminari, sicuramente avranno un grande peso nel disegno del futuro del nostro settore. Di seguito la tabella con i dati cumulati:

cumulato 2015

Questi atti, nei 12 mesi del 2015, seguono quella che oramai è la distribuzione classica degli atti dell’Autorità, caratterizzata da 2 momenti di picco, Luglio e Dicembre, e da altrettanti di “baseload, Gennaio e Agosto. Di seguito il grafico che confronta, a livello complessivo, il 2015 con gli anni precedenti…..

grafico 2015

….e quello che illustra la ripartizione per categorie e mesi degli atti 2015:

grafico 2015 2

A livello di mix, la categoria di atti più rappresentata è, ovviamente, quella delle delibere (583; 87% del totale), il cui aumento spiega quasi totalmente l’aumento dell’attività rispetto all’anno precedente. Seguono, seppur a distanza abissale, i documenti per la consultazione (57; 9%) che si mantengono numericamente in linea con il 2014, ma caratterizzati da un peso specifico medio per il settore molto elevato.

Andando più a fondo nell’analisi e focalizzando l’attenzione sulla categoria delibere, un mare magnum in effetti, anche in questo caso possiamo dire di essere di fronte ad una distribuzione “normale” per un regolatore maturo come l’AEEGSI.

La tipologia  principale di delibere (583) è, infatti, la R (regolazione) (309, il 53% del totale delibere), cui seguono le categorie S e E, rappresentative del potere sanzionatorio e di enforcement del Regolatore (rispettivamente 91-16% e 81-14%).

grafico 2015 3

A livello di settore (vedi tabella sotto), infine, quello su cui si è intervenuto maggiormente nel corso del 2015 è stato quello “storico” dell’energia elettrica (250 atti), seguito dal settore gas (155 atti) mentre clamoroso al 3° posto! con gli atti amministrativi che superano – seppur di un niente- gli atti relativi al più giovani (finora!) dei settori di competenza dell’AEEGSI, quello idrico (84 Vs 82).

La predominanza del settore elettrico è in certo qual modo sintomatica della direzione verso cui si evolverà (e verso dove si vuole che evolva) il settore energetico nazionale, coerentemente con quelle che sembrano essere le tendenza sovranazionali in tale settore. Questa evoluzione, come noto, prevede una penetrazione sempre più profonda del settore elettrico in ambiti finora ad esso preclusi (tecnicamente, culturalmente, politicamente) ed è chiaro che ciò necessiti una guida attenta da parte del Regolatore di settore.

Arrivederci al 2016, che si preannuncia non meno denso di attività di grande interesse per il nostro settore!

grafico 2015 4

(quanto scritto rappresenta esclusivamente l’opinione dell’autore)

Monitoraggio Attività AEEGSI – Dicembre 2015

L’anno appena trascorso si è concluso con un finale in crescendo per l’Autorità che, cosa mai accaduta in precedenza, si è riunita per ben 9 volte nel corso del mese, con ben 5 riunioni nel solo periodo 17 – 28 dicembre (con il filotto 21, 22 e 23 dicembre!).

Un vero e proprio record!

E’ quindi facile intuire perché il mese di dicembre 2015 sia, con ben 89 atti approvati (+27 atti, ovvero +44% Vs novembre 2015), il 2° mese più produttivo, sia da un punto di vista numerico che di qualità (che evidentemente è stata altissima, in questo mese….ma su questo ci torneremo con approfondimenti mirati), del triennio 2013 – 2015, superato  – almeno per l’aspetto quantitativo – solo da Agosto 2015 (ben 95 atti).

Da un punto di vista del mix degli atti approvati, il mese di dicembre è stato caratterizzato dalla quasi totale predominanza di delibere (81, il 91% del totale) e dalla quasi totale assenza di consultazioni (3 DCO, contro gli 8 di novembre ed una media di oltre 5 DCO/mese). Tra le delibere, la maggior parte sono di tipo regolatorio (53 su 81; 65%) e di enforcement/sanzionatorie (E, S, insieme 18; 23%).

Quanto appena illustrato si spiega con la particolarità del mese, che solitamente vede la chiusura – più che l’avvio– dei procedimenti (anche sanzionatori), insieme all’aggiornamento di molti elementi fondamentali della regolazione.

Il settore su cui il regolatore è stato più impegnato nel corso del mese in analisi è stato, assai prevedibilmente direi, quello dell’energia elettrica  (tra nuovi TIT, TIME, TIC e nuovo TIQE e aggiornamento condizioni economiche e tariffe di rete era facilmente intuibile! Risultato: 41 atti sul totale, di cui 37 delibere), seguito solo a grande distanza dal gas (17 atti), dagli atti condivisi (com; 11) e dagli atti di tipo amministrativo (tipici del periodo) (A; 10).

Di seguito le bellissime tabelle & gli incomparabili grafici:

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