La riforma del Wacc EP.3 – Gli impatti sul consumatore domestico tipo

Terza ed ultima puntata in merito alla riforma del WACC promossa dall’AEEGSI per i settori infrastrutturali dell’energia elettrica e del gas e redatta assieme al blog EnergyAffairs.

Siamo arrivati quindi in fondo a questa maratona economico-finanziaria.

Dopo aver cercato di spiegare l’importanza del tasso di remunerazione del capitale investito nei settori regolati e aver analizzato i parametri della nuova formula del WACC introdotta dall’Autorità con delibera 583/2015/R/com, è quindi venuto il momento di valutare in termini economici tale riforma, andando ad analizzare gli impatti sul cliente domestico tipo, ovvero la classica famiglia italiana che utilizza il gas per riscaldamento + cottura cibi + acqua calda sanitaria e ha un consumo elettrico di circa 2.700 kWh, con una potenza contrattuale di 3 KW.

Partiamo da un dato di fatto. Dopo due consultazioni, svariati articoli di rassegna stampa, una moltitudine di report di banche d’affari, a fine dicembre l’Autorità ha finalmente pubblicata la delibera tanto attesa in cui sono state confermate le previsioni che tutti gli addetti ai lavori immaginavano: riduzione – consistente seppur non catastrofica – dei tassi di remunerazione delle infrastrutture di energia elettrica e gas rispetto a quelli degli anni precedenti

La motivazione sottesa è indubbiamente la discesa dei rendimenti offerti dai titoli di stato (dai BTP decennali, in particolare), determinata da una serie di fattori concomitanti come, ad esempio, il superamento delle turbolenze del 2010-2011 e degli attacchi al debito sovrano registrati in quegli anni e dall’intervento massiccio della BCE (QE). Gli effetti di tali interventi, in termini quantitativi, sono desumibili dalla tabella riportata di seguito. In particolare il rendimento dei titoli di stato italiani è sensibilmente diminuito nel corso degli ultimi due anni. Per ora infatti paiono finiti i mitici tempi dello spread a 500 punti base e tassi nominali al 6 -7 % che si sono registrati negli anni 2012 e 2013 sotto i governi Monti e Letta.

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Fonte: rendimenti titoli stato UE. Dati BCE.

Peraltro va detto che, come abbiamo spiegato nell’episodio 2 della riforma del WACC, l’Autorità ha preferito cambiare registro andando in discontinuità rispetto al passato, calcolando i WACC prendendo a riferimento l’andamento dei rendimenti dei titoli di stato dei paesi che ritenuti più stabili, ovvero Germania, Olanda, Francia e Belgio (anche in tali paesi però, come nel caso italiano, si è registrata una diminuzione del costo del capitale).

Per questa e altre ragioni analizzate nelle precedenti puntate, la delibera 583/2015/R/com ha quindi stabilito valori di WACC per il triennio 2016 – 2018 più bassi di quelli applicati fino al 2015.

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Fonte: Elaborazione autori su dati AEEGSI

Come si può notare dai grafici, si va da una riduzione dello 0,7% riguardante le infrastrutture di rigassificazione fino all’1% per quanto riguarda la trasmissione elettrica. Caso a sé, e assolutamente sintomatico di quanto detto nelle precedenti puntate, è lo stoccaggio gas che diversamente da tutte le altre attività infrastrutturali, ha registrato un aumento del valori del WACC. Come ricorderete, proprio la regolazione tariffaria dello stoccaggio era stata la “pietra dello scandalo” che ha poi spinto l’Autorità ad accelerare sul procedimento di revisione dei criteri di definizione del WACC, dato che il valore definito per l’anno 2015 era illogicamente basso a causa dell’incapacità del metodo allora vigente di rappresentare correttamente l’effettiva situazione macroeconomica. Una volta cambiato il metodo, di conseguenza, tale problema è stato superato ed il WACC riconosciuto all’attività di stoccaggio è tornato su livelli maggiormente idonei a fornire i giusti segnali di investimento agli operatori.

MA QUALI SONO LE CONSEGUENZE DI UNA RIDUZIONE GENERALIZZATA DEI VALORI DEI TASSI DI WACC?

Per quanto riguarda gli operatori infrastrutturali, tale riduzione genera una diretta diminuzione dei ricavi ammessi. Il valore del WACC stabilito dall’Autorità, infatti, moltiplicato per l’intero capitale investito dall’azienda, determina una quota dei ricavi aziendali (le altre due macro categorie di ricavi sono gli ammortamenti e il riconoscimento dei costi operativi). Ad una diminuzione del WACC corrisponde quindi una riduzione automatica dei ricavi aziendali e quindi degli utili. Da considerare, infine, che in un mondo perfetto il rendimento del capitale investito rappresenta esattamente l’EBIT di un operatore efficiente e, di conseguenza ha un impatto cruciale sulla sua capacità di continuare ad investire e/o distribuire dividenti.

Per questo il tema del WACC è così sentito da parte dei mercati azionari ed è anche per questo che la pubblicazione della delibera è stata vista dagli operatori come una “liberazione” in quanto, indipendentemente dall’entità dei valori, ha calmato le borse almeno fino al dicembre 2017, momento in cui si procederà all’aggiornamento di alcuni valori della formula.

Detto degli impatti sugli operatori, desumibili dai bilanci aziendali per chi volesse approfondire, è altresì interessante verificare gli effetti della riforma del WACC sui soggetti che effettivamente pagano le tariffe dell’energia elettrica e del gas, ovvero i clienti finali (che in questa sede chiameremo consumatore tipo rivolgendoci soltanto alla maggior parte, ma non tutta, la platea dei pagatori di bollette).

Il consumatore di energia, attraverso le componenti specifiche legate ai “servizi a rete”, sostiene gli oneri per il funzionamento delle infrastrutture energetiche. Una diminuzione del WACC comporta quindi una riduzione dei costi in bolletta in quanto, fatti salvi meccanismi perequativi nonché partite di giro tra società di vendita e imprese di distribuzione, porta ad una diminuzione della quota di tariffa a carico degli utenti a copertura della remunerazione del capitale complessivamente investito nell’intera filiera del settore dell’energia elettrica e del gas.

Partendo dal capitale investito dei vari asset regolati, è possibile quindi calcolare il beneficio in termini di minori costi in bolletta che il consumatore dovrebbe percepire nel 2016 rispetto al 2015 esclusivamente per via della diminuzione dei valori dei WACC. Chiaramente si tratta di una stima soggetta a possibile errore in quanto non risultano pubblici in maniera puntuale i valore del capitale investito di ogni asset infrastrutturale, ma è comunque una buona indicazione dell’incidenza della riforma del WACC sul consumatore.

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Note: elaborazioni su dati degli operatori e DCO 355/2015/R/eel. Per consumatore tipo si intende una famiglia tipo che ha consumi medi di energia elettrica di 2.700 kWh all’anno e una potenza impegnata di 3 kW e per il gas consumi di 1.400 metri cubi annui. Valori soggetti a possibili errori per la difficoltà di stimare in maniera precisa la RAB di alcuni settori regolati.

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Dalle elaborazioni si ricava che il beneficio una tantum per il consumatore dovrebbe essere intorno agli 11 euro per la bolletta elettrica e poco meno di 12 euro per la bolletta gas. Di fatto, tali importi, quali minori costi per i consumatori, costituiscono la minor remunerazione riconosciuta agli operatori infrastrutturali per via della riduzione dei valori di WACC.

Proviamo ora ad eseguire una piccola elaborazione utilizzando l’ultimo aggiornamento trimestrale (dal 1 gennaio 2016) dell’Autorità riguardante le condizioni economiche di riferimento per le famiglie e i piccoli consumatori in tutela elettrica e gas. Seguendo questo approccio, e grazie ai documenti forniti dall’Autorità, è possibile stimare la teorica incidenza percentuale in bolletta derivante dalla riforma del WACC come quota parte della componente servizi di rete. Considerando quindi una spesa annua di energia elettrica di circa 500 euro e di circa 1100 euro per il gas, possiamo quindi arrivare ad ipotizzare che l’impatto della riforma del WACC è pari rispettivamente all’1% e al 2% del totale delle due bollette tipo per i due settori di riferimento.

CONCLUSIONI

La delibera 583/2015/R/com ha rivisto al ribasso i valori dei WACC per i settori regolati di energia elettrica e gas. I mercati finanziari hanno accolto il provvedimento in maniera abbastanza positiva in quanto lo scenario, ancorché negativo, è risultato comunque migliore rispetto a quanto prospettato in consultazione dall’Autorità. Nonostante questo, i nuovi parametri del tasso di remunerazione del capitale investito hanno comunque determinato un impatto in capo agli operatori infrastrutturali in termini di minori ricavi riconosciuti quantificabile in circa 600 milioni di euro. A fronte di questo, si stima un beneficio una tantum per il consumatore in termini di minori costi in bolletta pari a circa 23 euro a famiglia.

La riforma del WACC proposta dall’Autorità ha certamente portato un più elevato grado di stabilità e certezza al sistema, ma è innegabile che, insieme ad altre modifiche tariffarie più “tecniche”, ha ridotto in maniera sensibile (anche se in misura minore rispetto alle fosche previsioni iniziali, di questo va dato atto) le risorse a disposizione degli operatori per investire nelle proprie instrastrutture. Chiudiamo quindi esprimendo una speranza per il futuro: che nel 2017, quando si andrà ad aggiornare il WACC per il periodo 2018-2021, non si verifichino strane congiunzioni astrali (ad esempio sul meccanismo trigger di aggiornamento del country risk premium, CRP) che rendano i risultati incoerenti con la situazione macroeconomica e portino a nuovi scossoni in borsa!

La riforma del Wacc EP.2 – Cosa stabilisce la Delibera 583/2015/R/com

Eccoci dunque alla seconda parte del nostro viaggio alla scoperta del WACC.

In questa puntata afferreremo il toro per le corna e andremo diretti a vedere in cosa consiste la riforma dei criteri per il calcolo e l’aggiornamento del tasso di remunerazione del capitale investito per i settori infrastrutturali dell’energia elettrica e del gas entrata in vigore lo scorso 1°gennaio.

Partiamo subito da una affermazione forte, tanto per non essere accusati di captatio benevolentiae.

L’accoglienza decisamente positiva che i mercati & analisti hanno riservato all’attesissima delibera 583/2015/R/com (approvata dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas ed il sistema idrico lo scorso dicembre) che ridefinisce per il prossimo triennio (2016-2018) le modalità di calcolo del tasso di remunerazione del capitale investito (per gli amici, WACC) relativo nelle attività infrastrutturali del settore elettrico e del gas non è dovuta ai nuovi valori assoluti di Wacc approvati.

Per lo meno, non solo.

Per capire meglio l’accoglienza positiva, bisogna fare qualche passo indietro e vedere che succedeva poco più di un anno fa.

Il punto di partenza della nostra storia non può che essere una notte buia e tempest…No, un momento…. quella è un’altra storia!

La nostra, invece, inizia la sera del 3 novembre 2014, quando l’autorità pubblica un comunicato di grande rilevanza. Con questo documento, infatti il regolatore, a valle della pubblicazione della deliberazione 531/2014/R/gas, con la quale erano stati approvati i criteri di regolazione delle tariffe per il servizio di stoccaggio del gas naturale nel periodo 2015-2018, si affrettava a sottolineare che, di lì a poco, avrebbe avviato il processo di “riforma complessiva delle modalità di fissazione del tasso di remunerazione in relazione alle variabili esposte a fenomeni esogeni al settore regolato” e che “tale riforma sarebbe valsa per tutti i settori infrastrutturali regolati tariffariamente”.

Questo chiarimento si era reso necessario a seguito dello scossone che il nuovo quadro regolatorio per l’attività di stoccaggio aveva provocato in borsa, ben visibile dal grafico riportato di seguito:

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Questo crollo può essere ricondotto a 2 ordini di motivi, tra loro collegati:

  • Gli analisti/investitori potevano non essere a conoscenza dell’orientamento dell’Autorità, seppur generale e senza date precise, di intervenire sul metodo di calcolo del WACC, dato che era stato espresso in atti non di particolare appeal per questi soggetti.
  • Gli analisti/investitori (consci o meno degli intendimenti futuri dell’Autorità) hanno valutato molto negativamente le modalità di calcolo del Wacc effettivamente utilizzate per lo stoccaggio, ritenute oramai palesemente inadatte a rappresentare correttamente il reale costo del capitale investito. In particolare, la (principale) technicalityche ha fatto storcere il naso agli analisti è stato l’utilizzo di un tasso di inflazione irrealisticamente alto rispetto alla realtà (quasi 0). Questa scelta ha abbattuto drasticamente il Wacc (Wacc calcolato dall’Autorità è reale e non nominale e, di conseguenza, è ricavato rapporto tra il Wacc nominale e l’inflazione), gli investitori si sono “impanicati” e, pensando che ci fossero grosse probabilità che si sarebbe applicato lo stesso metodo anche alle future revisioni tariffarie di altri settori, trasmissione, distribuzione e misura EE in primis. A conti fatti, un comportamento razionale in una situazione di asimmetria informativa. Le aspettative condizionano i mercati e in questo caso il regolatore ne ha create forse un po’ troppe…

Dopo un mese esatto da questi avvenimenti, il 4 dicembre 2014, veniva approvata la delibera 594/2014/R/com con cui si dava avvio al procedimento in analisi e che dopo varie peripezie, 2 documenti per la consultazione e un numero imprecisato di studi, controstudi, paper, approfondimenti e dotte discettazioni ha portato alla delibera 583/2015/R/com di approvazione del TIWACC 2016 – 2021.

Andiamo ad analizzarla.

La prima discontinuità rispetto al passato è data dall’introduzione di uno specifico periodo regolatorio (2016-2021 con aggiornamenti triennali) per il WACC (il TIWACC, appunto), indipendente dai periodi regolatori più strettamente tariffari. Si assiste, dunque, ad un “period decoupling”, con il WACC finalmente libero di seguire dinamiche sue proprie, più vicine a quelle dei mercati finanziari che a quelle regolatorie, diventando così una variabile esogena (o quasi, come si vedrà) e non più endogena del quadro regolatorio di un dato servizio a rete. Questo nuovo periodo regolatorio si va quindi a sovrapporre a quelli tariffari dei quali definisce il tasso di remunerazione in via centralizzata ma comunque attenta alle specificità delle singole attività. Di seguito un grafico chiarificatore:

Immagine2

È evidente che questa operazione ha notevoli vantaggi:

  • Spostando una (importante) variabile su un altro tavolo di confronto, permette di focalizzare la discussione sulle regole strettamente tariffarie/regolatorie, con potenzialmente un gran beneficio per la qualità della discussione e le conseguenti scelte in materia.
  • Risolveuna volta per tutte il problema di avere WACC diversi tra attività a causa, al netto delle specificità, dell’aver preso in considerazione periodi temporali differenti ai fini del calcolo di uno  specifico parametro all’interno della formula: con il nuovo metodo il calcolo viene fatto una volta sola e considerando il medesimo orizzonte temporale e poi declinato in base alle particolarità delle singole attività.

Detto questo, passiamo a dare un’occhiata ai principali parametri che determinano il WACC.

Per cominciare, possiamo dire che il WACC, calcolato in termini reali e pre tasse, per ogni servizio infrastrutturale è determinato secondo la delibera dell’Autorità con la seguente formula:

formula wacc

dove:

  • è il tasso reale di rendimento del capitale di proprio (equity);
  • è il costo del debito in termini reali riconosciuto per i servizi Infrastrutturali;
  • TP è l’aliquota di incidenza delle imposte sul risultato d’esercizi;
  • tcp è l’aliquota fiscale per il calcolo dello scudo fiscale degli oneri finanziari;
  • gp,s è il livello di rapporto tra costo del debito e l’equity;
  • Fp,s è un fattore correttivo ai fini della copertura delle imposte;

In sintesi la formula prevede che il tasso di remunerazione espresso in termini reali debba essere calcolato come media ponderata del capitale proprio e del capitale di debito in funzione dei pesi degli stessi e che l’Autorità attribuisce ad ogni specifico settore infrastrutturale. La scelta dei pesi del rapporto tra capitale proprio e capitale di debito assume quindi notevole importanza ai fini della determinazione del WACC.

COSTO DEL CAPITALE PROPRIO (Ke)
Il costo del capitale proprio, definito nella formula precedente, è a sua volta composto da una serie di parametri quali: Tasso Risk Free (RF), Beta (β), Total Market Return (TMR) e Country Risk Premium (CRP). Guardiamoli un po’ più da vicino.

Tasso di rendimento Risk Free (RF)

Cos’è? Beh, la risposta è tanticchia tautologica, dato che è il tasso di interesse offerto da un ipotetico strumento esente da qualsivoglia rischio e che anche il soggetto più avverso al rischio che riuscite ad immaginare non esiterebbe ad inserire nel proprio portafoglio. E quale strumento può essere più esente dal rischio dei titoli di stato?

Come si calcola? Dato che è un costrutto del tutto teorico, l’unico modo per calcolarlo è tramite una proxy che, nella prassi, è il rendimento dei titoli di stato a 10 anni di paesi ritenuti “affidabili” (anche se al giorno d’oggi chi è affidabile scagli la prima pietra). Nel nostro caso, si utilizzano i rendimenti di non 1, non 2 ma ben 4 e dico 4 paesi europei con rating doppia AA by S&P’s (Francia, Germania, Belgio e Paesi Bassi) registrati nel periodo 1.10.2014 – 30.09.2015. Essendo il WACC espresso in termini reali, di conseguenza il tasso risk free è depurato  dell’inflazione attesa, .   Infine, a causa dell’attuale situazione di tassi abbondantemente negativi grazie alle “fantastiche” manovre delle Banche Centrali (leggasi Quantitative Easing), è previsto un floor pari allo 0,5% per evitare rendimenti negativi, del tutto incompatibili con le finalità del Wacc in settori regolati.

Differenze rispetto al passato: Il precedente metodo utilizzava il rendimento nominale degli ultimi 12 mesi disponibili dei BTP decennali benchmark rilevato dalla banca d’Italia. Date le turbolenze finanziarie che hanno scosso e stanno scuotendo il nostro paese e l’orizzonte di osservazione limitato, c’era il concreto rischio di dover effettuare la stima del tasso risk free in corrispondenza di picchi (positivi o negativi) transitori nei rendimenti di tali titoli andando a definire, di conseguenza, un WACC incoerente con la realtà.

Punti di forza: Il riferimento a titoli di stato emessi da paesi “solidi” dovrebbe evitare picchi indesiderati e contribuire a mantenere stabile il WACC, cosa fondamentale per i settori coinvolti. La storia ci dirà comunque se i paesi considerati benchmark ai fini del calcolo del tasso risk free siano realmente stabili anche in termini di rendimenti dei titoli di stato. Vedendo i conti pubblici della Francia (paese con rating AA), un minimo di preoccupazione sussiste ma per ora l’Autorità ha parlato e il settore si adegua.
Criticità: nella delibera mancano dettagli su (i) come si ponderano i tassi di rendimento di titoli emessi da paesi molto diversi tra loro? Tramite il relativo PIL? Ma a che data e da quale fonte prenderlo? (ii) che succede se uno dei paesi oggi considerati al momento dell’aggiornamento non ha più il rating AA? Lo si toglie e basta?

[NEW] Country Risk Premium (CRP) [NEW]

Cos’è? È il parametro che esprime l’extra rendimento richiesto da un investitore a copertura del maggior rischio di investire in un paese scalcinato come l’Italia rispetto ad altri meno rischiosi (ma più noiosi!).

Come si calcola?. Nella delibera di approvazione del TIWACC la spiegazione sul metodo effettivo utilizzato per stimare questo parametro è piuttosto confusa. In maniera molto sintetica possiamo dire che questo valore viene desunto attraverso 2 strade + 1:(i) differenza dei rendimenti azionari del settore utilities tra l’Italia e i paesi con rating AA, e (ii) differenza tra i rendimenti delle obbligazioni emesse dalle utility italiane e i rendimenti delle obbligazioni emesse dalle utility operanti in Paesi con rating elevato. L’Autorità, inoltre, specifica comunque che (iii) il CRP non può comunque superare il valore dello spread dei rendimenti tra titoli di stato Ita Vs paesi fighi.Punti di forza: L’individuazione di un tasso risk free che prenda a riferimento i paesi benchmark con rating AA ha portato il regolatore ad individuare un rischio paese italiano che sostanzialmente dovrebbe riflettere la differenza dei rendimenti tra l’Italia e i paesi con rating AA. Eventuali oscillazioni del rischio sovrano italiano vengono quindi intercettate dal CRP che funge quindi da ancora di salvataggio nel caso in cui qualche fondo speculativo metta le mani sull’Italia o meglio ancora, qualche politico italiano decida di rompere il porcellino e affamare la bestia statale. Commissione Europea avvisata.

Criticità: L’aggiornamento di questo parametro è piuttosto problematico: in pratica, si procede all’aggiornamento solo se c’è una differenza >20% tra lo spread BTP-Bund registrato nel periodo 1.10.2014 – 30.09.2015 e quello del periodo  1.10.2017 – 30.09.2018, altrimenti nada (chiamasi Trigger). Nel caso si proceda all’aggiornamento, il nuovo valore di spread va, sostanzialmente, a sostituire il precedente. Il problema sorge laddove nel periodo non considerato, ovvero 1.10.2015-30.09.2017 (ben 2 anni!) ci siano dei cataclismi sui mercati, dato che questi – non rientrando nella finestra di riferimento – non vengono considerati per l’eventuale aggiornamento del CRP.

Beta (β)

Cos’è? Il parametro rappresenta il rischio effettivo di ogni singolo settore infrastrutturale ed è quindi specifico per ogni asset regolato. E’ l’extra rendimento che gli investitori richiedono nei confronti di una determinata impresa in un certo settore.

Come si calcola? È la media dei rendimenti storici desumibili dall’andamento dei mercati azionari per impresa o settore merceologico. Nei prossimi aggiornamenti del WACC l’Autorità ha previsto di calcolare i valori dei beta anch’essi con riferimento ai valori registrati dei paesi benchmark con rating AA.

Punti di forza: La metodologia adottata, fermi restando tutti i caveat ricordati, ora quanto meno è codificata e chiara.

Criticità: Per sua natura intrinseca, rimane il parametro più soggettivo del lotto

[semi-NEW] Total Market Return (TMR) [semi-NEW]
Cos’è? È la nuova veste con cui ci si presenta il vecchio Equity Risk Premium (ERP; extra rendimento richiesto per tenersi in portafoglio una azione invece che asset meno rischiosi, come titoli di stato).

Differenze rispetto al passato: Mentre l’ERP rappresentava solo il rendimento storico del mercato azionario, il TMR rappresenta il rendimento complessivo offerto dal mercato nella sua interezza, senza distinzioni tra rendimento dei titoli azionari o dei titoli di stato. L’idea di fondo è che c’è un legame tra rendimento dei titoli di stato e azioni: quando sui mercati tira una brutta aria, il saggio si disfa delle azioni e si butta a pesce sui titoli di stato. Conseguenza: i rendimenti che gli investitori richiedono per tenersi le prime tendono a salire mentre il rendimento offerto dai secondi – richiestissimi – scende, il che rendere il TRM un indicatore maggiormente stabile nel tempo. A questo va poi sottratto il rendimento dei soli titoli risk free (vedi sopra) e si ottiene l’ERP(es).

Come si calcola? Tramite serie storiche di luuuuuuungo periodo (dal 1900 ad oggi) dei rendimenti dei paesi (oggi, però…) primi della classe ricordati in precedenza. Di questi rendimenti si calcola sia la media aritmetica che quella geometrica, si prende un 80% della prima ed un bel 20% della seconda, si mescolano insieme fino ad ottenere un impasto omogeneo, si mette in forno a 180 °et voilà ecco un fantastico TMR. Lo potete conservare per almeno 6 anni in una apposita delibera (il TMR, infatti, una volta calcolato non si aggiorna più… Almeno nel I PR WACC!).

Punti di forza: l’approccio TMR, proprio perché basato sull’idea che tutto sommato in un paese stabile/avanzato il rendimento complessivo offerto dal mercato è stabile nel tempo, dà maggiore stabilità anche al WACC rispetto al passato.
Criticità: È abbastanza discrezionale da parte del regolatore la scelta delle medie da utilizzare e i pesi percentuali per ognuna (in molti altri paesi la scelta è stata sempre 100% media geometrica!). Ad oggi comunque non è previsto un aggiornamento della metodologia di calcolo del TMR ma in futuro non sappiamo cosa può capitare. In quel caso, sarebbe facile lavorare sui pesi percentuali, molto più che stravolgere il meccanismo nel suo complesso.

COSTO DEL DEBITO (kd)

Per stimare quanto costa prendere soldi in prestito ad un operatore regolato efficiente, l’Autorità ha effettuato una specifica raccolta dati in cui chiedeva agli operatori di fornire informazioni molto disaggregate sul proprio costo effettivo del debito (ovvero: debito a lungo termine e a breve termine, per singola emissione obbligazionaria/singola linea di credito, con distinzione tra costo puro del debito e oneri accessori ecc. ecc.). Questi dati, opportunamente elaborati (e altrettanto opportunamente contestati dagli operatori nella consultazione ex dco 544/2015/R/com) sono stati la base per calibrare il metodo di stima della variabile in esame.

Lasciando per un attimo da parte la polemica sul fatto che, non essendo gli operatori regolati delle pie associazioni di beneficenza, è almeno discutibile che il loro debito non sia “efficiente” (perché mai, infatti, questi dovrebbero indebitarsi a tassi maggiori rispetto a quelli riscontrabili nel mercato del debito alla data in cui questi soldi gli servono?), vediamo nel dettaglio il meccanismo utilizzato per la stima.

Che, in fin dei conti, non è cambiato rispetto al passato.

Difatti, il costo del debito viene sempre stimato come somma del tasso risk free e di uno spread atto a intercettare il premio richiesto per prestare l’argent agli operatori regolati.

Naturalmente, come già visto in precedenza, ora il calcolo del tasso risk free è completamente cambiato e la sua definizione ora necessità anche di un nuovo parametro (il CRP). Anche lo spread ha cambiato nome (ma non sostanza): ora si fa chiamare con l’altisonante titolo di Debt Risk Premium (DRP), ma alla fine è sempre lui, il nostro vecchio, caro spread. Anche se è, ricordiamo che ora il costo del debito è reale dalla nascita e non reso reale ex post. Tutto bene, quindi? Non c’è male, grazie…. Ma qualcosa che non va comunque c’è: la principale criticità del calcolo del costo del debito (al netto delle polemiche già ricordate) è che questo in alcuni casi non è adeguatamente differenziato, almeno per quanto riguarda il settore elettrico. È credibile che il costo del debito del gestore della rete di trasmissione nazionale (99,9% regolato) sia lo stesso di quello della scalcinata società di distribuzione EE di Vergate sul Membro che gestisce 4 utenti in croce? Difficile da credere, eppure è così!

FATTORE DI PONDERAZIONE (Ha tanti nomi: D/E, indebitamento, gearing, g, ecc)
Questa è facile: non sono altro che i pesi da mettere sui 2 piatti della bilancia. Come detto, sono specifici di ogni singolo settore e influenzano in maniera decisiva il valore del WACC. Va quindi usato con criterio tenendo presente le peculiarità di ogni asset regolato.

Nella delibera del WACC l’Autorità ha comunque chiarito che l’aggiornamento del gearing avrà l’obiettivo di un graduale aggiustamento verso livelli più vicini rispetto a quelli adottati da altri regolatori europei, che utilizzano un  rapporto 1:1 tra capitale proprio e debito, mentre qui da noi l’elemento preponderante è il capitale proprio. Ci si augura, ad ogni modo, che il differente grado di leverage sia adeguatamente trasferita nel Beta.

TASSAZIONE

 I fattori TP (aliquota di incidenza delle imposte sul risultato d’esercizio) e tcp è (aliquota fiscale per il calcolo dello scudo fiscale degli oneri finanziari) saranno aggiornati dall’Autorità sulla base dei livelli di tassazione del prossimo triennio. A rigor di logica dovrebbe essere una situazione win win. Infatti se il livello di tassazione diminuisce, si abbassa il valore del WACC ma chiaramente le imprese dovrebbero pagare meno tasse. In caso di aumento delle tasse aumenterebbe anche il livello di WACC.

Da considerare, in tema di fiscalità, che “solitamente” le varie tasse e balzelli si pagano su valori nominali (quindi espressi in €/anno corrente), mentre abbiamo già detto più volte che i valori dei parametri del Wacc sono reali. Dato che applicare un’aliquota media di tassazione nominale su valori reali sarebbe corretto come prendere mele per pere, è stato introdotto il fattore corretti F, che corregge per l’inflazione l’effetto della tassazione.

Ma alla fine, qual è il Wacc per i prossimi 3 anni? Lo vediamo nella seguente tabella:

tabella wacc

CONCLUSIONI

L’autorità ha mantenuto sostanzialmente inalterata la formula del WACC utilizzata nei precedenti periodi regolatori salvo alcune correzioni legate all’utilizzo di valori reali anziché nominali. Il risultato comunque non cambia in quanto il WACC è comunque calcolato pre tasse e in termini reali.  Quello che è cambiato è invece il riferimento in termini di paesi ai fini del calcolo dei differenti valori. L’impianto dell’Autorità è costruito prendendo a riferimento i valori dei paesi “virtuosi” con rating AA in area euro (Germania, Francia, Paesi Bassi e Belgio) e applicando un rischio paese (tramite il country risk premium) per tenere conto della situazione italiana.  Quello che andrà verificato nei prossimi aggiornamenti è se tali paesi benchmark rimarrano “virtuosi” o qualcuno prenderà qualche quattro in pagella.  Ad oggi infatti la Francia presenta una situazione economica non troppo distante da quella italiana e anche la Germania comincia a dare qualche segnale di sofferenza.  Vedremo quindi nei prossimi anni cosa accadrà.

Ci vediamo alla prossima e, ahimé, ultima puntata sul Wacc in cui cercheremo di stimare gli impatti della riforma dell’Autorità  sul cliente domestico tipo.

Nota a margine: Se state leggendo queste righe, sappiate che avete tutta la mia stima e riconoscenza e, per dimostrarvelo, se quando mi incontrate mi dite il codice segreto riportato di seguito avrete una bibita a vostra scelta gentilmente offerta da nuovaenergiablog e da energyaffairs.it!

CODICE OFFERTA: MILWACC (che sarebbe abbasso il Wacc!!!!)

La Riforma del Wacc EP.1 – Cos’è e a che serve il Wacc?

Iniziamo questa disamina del Wacc con due o tre elementi di base per far capire l’importanza di questo elemento nell’ambito della regolazione tariffaria di servizi infrastrutturali.

Cos’è il Wacc?

Prima di tutto, vediamo per cosa sta questa sigla esotica:

Wacc = Weighted Average Cost of Capital = Costo medio ponderato del capitale

Ora tutto è più chiaro, no? No. Andiamo avanti, allora!

Il Wacc è il metodo più utilizzato per stimare il costo del capitale sostenuto da un soggetto per la propria attività (o per una specifica attività). Si dice “ponderato” perché i 2 elementi di cui è composto, capitale proprio ed debito, sono “pesati” in base alle rispettive quantità  utilizzate nel mix di capitale necessario a finanziare l’attività. Di conseguenza, varia al variare delle proporzioni degli ingredienti che lo compongono.

Questo valore è assai utile per valutare gli investimenti, dato che il costo associato al capitale che si deve puntare su un  certo progetto è uno degli elementi fondamentali che, alla fine, determinerà la redditività di quel progetto e, quindi, la decisione finale di procedere o meno con l’investimento.

Tutto molto bello, tutto molto teorico…ma in pratica?

Beh, ricordate quando eravate rEgazzini© e dovevate andare a mangiare la pizza con gli amici? Ricordate i calcoli complicatissimi che facevate per capire come era meglio pagare? Ricordate quanto eravate lì a scervellarvi se era meglio rompere il porcellino-salvadanaio e usare tutto il contenuto duramente accumulato a seguito di terribili privazioni (tipo gelati/pizzette/figurine o, massimo della rinuncia, una partita a Street Fighter 2!),  se utilizzarne solo una parte, chiedendo un contributo alla mamma/papà o alla nonna/nonno ecc o se finanziare i bagordi completamente a debito (magari contraendolo con il fratello maggiore).

Ecco, in quel momento stavate stimando il costo medio del capitale da impiegare nel progetto “pizza con gli amici”!

Il costo del capitale calcolato sotto varie ipotesi di mix tra equity (il porcellino) e debito (parenti più o meno stretti) veniva poi posto in relazione con l’effettiva possibilità di accedere alle varie forme di capitale, con il rischio ad esse associato, con la strategicità del progetto e con i possibili ritorni di quest’ultimo, così da prendere la decisione finale di investimento.

In parole povere, se fosse venuta anche la ragazzina della III F di cui eri follemente innamorato, pur di avere una change di far colpo potevi anche accettare un costo del capitale altissimo, determinato da un mix esplosivo di capitale proprio (costato lacrime e sangue) e debito (fornito da quello strozzino di tuo fratello). Se, al contrario, la ragazzina era impegnata con il nuovo fidanzatino (arrrrghhh!!!!!), ma in compenso era confermata la presenza del tuo nemico giurato della III G, saresti andato esclusivamente nel caso in cui il costo del capitale fosse stato pari allo zero assoluto (quindi tutto a prestito a fondo perduto, con la nonna in versione Cassa per il Mezzogiorno!).

Qual è la funzione del Wacc e perché, per i settori infrastrutturali dell’energia elettrica e del gas, ce n’è bisogno?

Finora tutto chiaro. Proviamo ora a fare un paso adelante e decliniamo quanto appena detto nei settori infrastrutturali dell’energia elettrica e del gas che tanto ci interessano.

Innanzitutto, bisogna rendersi conto che esistono mercati in cui tecnicamente non ci può proprio essere concorrenza. Meglio, esistono casi per cui  non è possibile la contemporanea esistenza, in uno stesso mercato di riferimento, di vari soggetti  che si scornano tra loro per accalappiarsi gli stessi clienti offrendo loro il medesimo servizio/prodotto, tra l’altro decisamente indifferenziato.

Tra questi, sono compresi i settori infrastrutturali dell’energia elettrica e del gas e, più in generale, i servizi a rete ad alta intensità di capitale e, aggiungerei, a grande impatto sul tessuto urbano/ambientale di riferimento.

Il perché ha a che fare con l’intima natura di tali servizi/attività e non con chissà quale oscura trama volta a turlupinare il povero cittadino inerme e tartassato. Questi, infatti, sono dei cosiddetti monopoli naturali.

Facciamo un esempio chiarificatore con una bella reductio ad absurdum.

Provate per un attimo ad immaginarvi che casino verrebbe fuori se da domani decine di distributori gas o di energia elettrica, ad esempio, volessero entrare in un certo mercato di riferimento (tipo citta di Milano) e, per farlo, ognuno pretendesse di posare la propria rete sotto le strade cittadine e i misuratori (e i vari allacciamenti) in ogni casa/condominio/negozio/ecc.

Sarebbe il caos completo! E soprattutto, si avrebbe uno spreco pazzesco di risorse (tempo, suolo, materie prime ecc.).

Ma ammettiamo, per assurdo, di voler tralasciare questo “piccolo” particolare. Dovremo per forza riconoscere che il gioco non vale la candela. I ricavi attesi, infatti, non permetterebbero in alcun modo di coprire gli ingenti costi necessari per fornire il servizio, di carattere prevalentemente fisso e la cui copertura richiede il raggiungimento di una massa critica di utenti. Infatti, il numero degli utenti potenziali è fisso (i soli milanesi) e in caso di aspra competizione sarebbe molto difficile per il singolo operatore raggiungere la massa critica di cui sopra.

Di conseguenza, anche se ce ne fosse la possibilità normativa, nessun imprenditore dotato di un minimo di raziocinio porterebbe avanti un’iniziativa simile e, quantunque esistessero dei così straordinari esempi di irriazionalità umana, alla fine non potrà che sopravvivere il più forte, cioè quello che riesce a prendere più utenti possibili e raggiungere la massa critica. Questo soggetto andrà poi a consolidare il settore, diventando l’unico fornitore del servizio per una certa area geografica.

E la razionalità sarebbe infine ripristinata!

Per questo genere di servizi, allora, la fase concorrenziale si ha (o meglio, si dovrebbe avere!) nella fase di accesso al mercato e, di conseguenza, si parla di concorrenza PER il mercato (perché, poi, quando il mercato è tuo, te lo tieni per un certo periodo….e a certe regole, come vedremo!).

Ma se non c’è mercato, ovvero se c’è solo domanda ed uno solo controlla l’offerta, come si fa a stabile il prezzo del sevizio senza che l’esercente se ne approfitti a mani basse?

A questo fine è stata sviluppa la regolazione tariffaria e della qualità del servizio: gestisci una determinata attività che è un monopolio naturale? Benissimo, nessun problema! Fallo pure, magari dopo aver vinto una bella procedura competitiva aperta (i.e. competizione PER il mercato), ma lo fai (almeno) alle condizioni tecniche ed economiche che ti dico io e per io intendo un soggetto terzo, indipendente, che deve bilanciare gli interessi degli operatori e degli utenti.

La regolazione tariffaria, infatti, ha il compito di stabilire quanto il cliente deve pagare per il servizio stesso, in modo da evitare che il monopolista se ne approfitti e, allo stesso tempo, evitando che il prezzo del servizio sia artificiosamente (o politicamente) basso rispetto ai costi ed alle necessità di sviluppo dello stesso.

Ora, tutte le tipologie di investimenti generano 3 grandi categorie di costi che dovranno trovare copertura attraverso i ricavi derivanti dalla vendita dei beni/servizi cui gli investimenti sono legati:

  • Costi operativi (stipendi dei lavoratori, servizi, ecc.)
  • Ammortamenti (il costo annuo dei mezzi utilizzati per fornire il bene/servizio, come ad esempio macchinari industriali, computer, mezzi di trasporto ecc).
  • Il costo del capitale che la società deve sopportare per un certo progetto

In un settore “normale”, le forze del mercato fanno sì che non ci sia bisogno che qualcuno stabilisca dei vincoli relativi alla copertura di queste 3 categorie: se si è bravi ed il bene/servizio piace, si copre tutto e si guadagna; al contrario, si perde.

Ma nel caso di un monopolio naturale, ci deve essere necessariamente un soggetto terzo (l’Autorità indipendente, appunto) che stabilisca le regole del gioco e fissi dei limiti alla copertura dei 3 elementi appena ricordati tramite la tariffa che l’utente dovrà pagare per usufruire del servizio, pena un arricchimento indebito dell’operatore.

Allora, la regolazione tariffaria – tra le altre cose – dovrà stabilire quella che è l’equa (parola chiave) remunerazione concessa agli investimenti effettuati nei propri settori di competenza che dovrà essere incorporata nelle tariffe pagate dagli utenti.

Se fosse troppo bassa, gli investimenti languirebbero con effetti negativi sugli impianti (che invecchiano senza essere sostituiti) e sul servizio (un impianto vecchio ha performace da vecchio); se troppo alta gli operatori sarebbero spinti a fare le “picche d’angelo” sugli impianti (in gergo tecnico, golden plating) senza però che i benefici per i clienti compensino il costo sopportato (se mi arriva il gas in casa tramite tubi in oro zecchino o in acciaio non è che la mia pasta asciutta cambi molto di sapore!).

Questa remunerazione, spendiamo giusto un attimo per farlo notare, in un mondo perfetto rappresenterebbe l’unico margine di guadagno (se vogliamo essere pignoli, EBIT) ammesso per il soggetto regolato (difatti sugli altri 2 elementi in linea teorica non dovrebbe esserci margine).

In assenza di remunerazione del capitale, allora, il margine tenderebbe pericolosamente a 0 (zero), molto più probabilmente a sottozero, e la capacità dell’operatore regolato di attrarre investitori e investimenti sarebbe altrettanto pari allo 0 assoluto (quale banca o fondo di investimento accetterebbe un rendimento pari a 0?), con immaginabili effetti per il paese in termini di investimenti e di qualità del servizio. Non a caso uno degli elementi a cui gli analisti delle banche d’affari sono più sensibili è proprio il tasso di remunerazione previsto dalla regolazione.

E’ il caso di notare che non è assolutamente corretto spostare il riconoscimento di questa remunerazione del capitale dalla tariffa specifica per il servizo alla fiscalità generale. I motivi sono vari e variegati, ma il principale riguarda l’equità: perché un cittadino che non usufruisce di un certo servizio (non essenziale come lo può essere un ospedale) deve sopportarne i costi? Sarebbe giusto che chi utilizza solo energia elettrica per le proprie necessità debba sostenere anche costi per l’infrastruttura gas? Direi di no!

E’ un po’, se vogliamo, come il canone Rai: c’è un “servizio pubblico” (o presunto tale) certamente non essenziale, specie oggigiorno, che viene pagato da tutti quelli che hanno una TV nella propria residenza. Non fa niente che sono anni che non guardi la Rai e che non sai che fartene dei pacchi, di Magalli o del festival di Sanremo. Devi pagare e basta e non puoi in nessun modo “disdire” l’abbonamento, magari chiedendo l’oscuramento dei canali Rai (e badate bene, i mezzi tecnici ci sono da anni!).  Vi sembra equo? A guardare i dati sull’evasione di quella che è considerata la tassa più odiata d’italia, direi proprio di no! E allora perché mai si dovrebbe estendere questo metodo ad altri servizi? Molto meglio e molto più equo il principio “chi ne usufruisce paga”!

Quindi, stabilito che per i settori che si configurano come monopoli naturali ci deve essere un soggetto terzo indipendente che stabilisca le regole ed i limiti del gioco, tra cui l’equa remunerazione degli investimenti, e che questa costituisce una parte della tariffa che gli utenti pagano per usufruire del servizio, non resta che stabilire (i) come calcolarla e (ii) quali sono gli impatti per gli utenti causati da una sua variazione.

Ma di questo parleremo nei prossimi articoli.

 

La Riforma del Wacc – Introduzione

La riforma dei criteri per la determinazione e l’aggiornamento del tasso di remunerazione del capitale investito (per gli amici, Wacc) per i servizi infrastrutturali dei settori elettrico e gas è stato uno dei grossi temi che hanno tenuto banco nel corso del 2015 e che più influenzeranno i settori coinvolti nei prossimi anni.

Dato che, oramai, la delibera 583/2015/R/com è stata approvata ed ampiamente digerita dagli operatori e dai mercati, è possibile analizzarne, nella maniera più distaccata possibile, il contenuto ed il significato considerando il contesto in cui tale delibera è maturata e delle finalità a cui essa è preordinata.

Per far questo, mi sono immaginato un percorso un po’ più articolato del solito che faccia luce, in primis, su

  1. Cos’è e perché  questo Wacc è così importante (QUI L’ARTICOLO)
  2. Aspetti salienti della riforma e le eventuali lacune
  3. Stima di massima degli impatti sugli utenti finali

I 3 punti indicati, per evitare attacchi di narcolessia, saranno trattati in altrettanti articoli.

Andiamo quindi a cominciare…….Buona Lettura!